Revisione di Commento del Mer, 19/09/2018 - 10:57

Versione stampabilePDF version

Chanson à refrain di 5 stanze con invio, composta da coblas ternas e doblas di 10 versi ciascuna, suddivisione strofica piuttosto diffusa nelle canzoni di cinque stanze (cfr. Dragonetti p. 447). Una rima b eccedente funge da transizione tra pedes a rima incatenata e cauda a rima baciata. Lo schema rimico si completa con una quinta rima estramp - per cui cfr. Leys d'Amors, p. 98 - del réfrain. L'invio riprende lo schema rimico degli ultimi quattro versi delle coblas doblas, ma con il primo verso presenta 8 sillabe. L'irregolarità è probabilmente dovuta a qualche forma di corruzione del testo in quella sede, che presenta anche problemi interpretativi; è utile ricordare, d'altra parte, che l'invio è un elemento del testo particolarmente suscettibile di interpolazioni o aggiunte posticce. Lo schema rimico è unico nel corpus trovierico; va comunque segnalato  che, escludendo la rima fissa del refrain, la base dello schema (ababbbccdd, MW 1079) è  attestata invece in ben 57 liriche, la netta maggioranza delle quali (40 ca.) vi abbinano strofi totalmente o in gran parte formate da decasillabi; tra le restanti formule a base ottosillabica o eptasillabica, uno schema sillabico coincidente con quello della presente liricaricorre in un canto anonimo (MW 1856). Molti dei componimenti in cui viene impiegato lo schema rimico sono jeux-partis; tra gli autori che lo utilizzano, figurano Jehan Bretel,  Thibaut de Champagne, Colart le Bouteillier, Thierri de Soissons,  Perrin d'Angecourt, Adam de la Halle, Carasau, Jehan de Renti, Oede la Courroerie, Raoul de Soissons, Chastelain de Coucy e Hue de la Ferté.

  ***
Unico caso di chanson à réfrain del canzoniere, la lirica si distingue per l'andamento vivace risultante dalla combinazione di uno schema metrico variegato con un'alternanza tra timbri medi o aperti e timbri acuti delle rime, in particolare - i(r), - ant, dove la vocale acuta si alterna con una aperta, ma attenuata ed oscurata dalla nasalizzazione; secondo Dragonetti, p. 424, esiste, in effetti, 'un type d'alternance vocalique que les trouvères ont particulièrment recherché: notamment la succession de deux timbres dont l'un est aigu, grave ou claire , l'autre (procédent de l'éclatant a) est comme voilé par la nasalisation -an.'. La breve estensione che caratterizza la maggioranza dei versi (5 sillabe) rende spesso necessario il ricorso all'enjambement e, dunque, la tenenza alla frammentazione siintattica, per cui si osservino in particolare i vv. 14-16, vv. 27-28, vv. 37-38, vv. 42-43. Gli eptasillabi ospitano invece  frasi più ampie e, per lo più, sintatticamente autonome, nelle quali il poeta esprime le idee base della strofe.
  La strofe I si apre con la tradizionale enunciazione del 'movente' del canto, caposaldo della retorica esordiale, che affonda le sue origini nell'arte oratoria antica, dove prendeva il nome di propositio. Si è notato come jonece, con amours una delle parole-chiave del lessico della lirica cortese, sia un termine peculiare dei trovieri del circolo di Arras. Nonostante l'Artois sia la reegione francese che ospita il gruppo di poeti più nutrito, la preponderanza delle occorrenze di jolivetés in opere artesiane non è un dato meramente statistico, quanto, piuttosto, la conferma che nel Puy d'Arras, il canto cortese riceva una sua particolare declinazione, dovuta alla progressiva selezione di certi termini e modi, alla preferenza per certe costruzioni sintattiche rispetto ad altre. La soggettività creativa del poeta è dunque fortemente modellata sugli usi e gli automatismi linguistici dell'ambiente in cui quotidianamente si trova immerso, 
Un verso breve chiude metricamente la fronte, ma apre il tema  sviluppato nella cauda, ossia la preghiera vera e propria alla dama. Il refrain  costituisce lo scioglimento ritmico ed emotivo della strofe,  in cui si concentra il motivo portante della canzone: il rifiuto della recreantise d'amore.
Nella seconda strofe, come nelle successive, il troviero è meno vincolato dai formalismi imposti propri dell'esordio; può dunque sfruttare con più efficacia  gli effetti derivanti dalla sovrapposizione e l'intersezione tra la naturale prosodia del discorso ed il ritmo scandito dallo schema metrico. I nodi semantici sono dislocati all'interno degli eptasillabi, mentre i pentasillabi ospitano frammenti di frasi subordinate che fanno loro da corollario: la lode della dama è tutta racchiusa infatti nel primo verso; la frase plus que jou ne di (v. 12) non è che accessoria al discorso; il poeta richiama poi il motivo della pietà della dama, cui riallaccia un'altra topica tradizionale, quello degli occhi personificati, che si dispiega poi subito dopo, nella sequenza dei tre versi brevi, con un andamento discorsivo frammentato che procede per enjambement. Il poeta prosegue insistendo sul tema del desiderio pertinace verso l'amata, delle cui grazie, per definizione, non gli è dato di godere e che permane, al contempo, intrappolato dall'amore nella paradossale situazione di non poter ricusare l'amore stesso.
Come di consueto, i motivi panegirici richiamano il tema dei losengiers, come una sorta di contrappunto. Nella strofe IV continua l'invettiva rivolta ai maligni avversari sotto forma di apostrofe, seguita ancora dalla dichiarazione di orgogliosa fedeltà all'amore per la dama. 
L'postrofe ai losengier è interrotta al v. 37 dalla deprecazione retorica rivolta a Dio. Le dichiarazioni di fedeltà ad ogni costo, quindi en pardon (v. 39), di volontà di servire la dama anche in condizioni svantaggiose  e senza ottenere nulla in cambio e la menzione dell'houmaje al v. 41 della strofe successiva, ricordano quanto, del vocabolario e delle figure della lirica cortese, provenga dal  grande bacino delle metafore  feudali e come il rapporto amante/domina sia ad esso improntato nell'immaginario letterario cortese.
Nella quinta strofe Cuvelier formula la vera e propria requise amorosa, apostrofando la dama. Come di consueto, la richiesta di grazia alla dama è accompagnata dalla preoccupazione che ciò la danneggi, secondo l'etica amorosa  per cui pregare, o anche solo amare una donna di alto rango costituisce, in sé, un atto temerario e potenzialmente oltraggioso. La strofe costituisce una sorta di variazione in apostrofe della prima: in entrambe c'è la richiesta della grazia e della pietà della donna, in entrambe torna il tema di una sofferenza amorosa insostenibile; in entrambe, infine, l'affermazione autolesionistica di preferire la sofferenza alla recreantise d'amore.
Come molte canzoni cortesi, il componimento termina con l'invio, in cui viene ripreso lo schema rimico e metrico degli ultimi quattro versi dell'ultima strofe, eccetto il v. 51, ottosillabo (vd. supra). In questo caso l'envoi è congegnato in modo tale che l'ultimo verso, corrispondente all'ultima occorrenza del refrain, costituisca il cuore della raccomandazione stessa.