

| I | 
| . Notar Giacomo. TRoppo son dimorato. illonta no paese. no(n)so inche guisa. pos sa soferire. chesono cotanto stato. senza incui simise. tutte belleze damore es(er)uire. Molto tardi mi pento edico che follia. mena facto alungare. lasso bene veggio esento. morte fusse douria. amado(n)na tor nare. | 
| . Notar Giacomo Troppo son dimorato i-llontano paese: non so in che guisa possa soferire, che sono cotanto stato senza in cui si mise tutte belleze d'amore e servire. Molto tardi mi pento, e dico che follia me n'à facto alungare; lasso, bene veggio e sento, mort'e' , fusse, dovria a madonna tornare. | 
| II | 
| . Casio sono ali(n)gato. anullomo no nafesi. quanta me solo edine sono alperire. edio nesono ilda(n)negiato. poi mado(n)na msfesi. mio elda(n)nagio e do(n)gne languire. Chalosuo auenime(n) to. damare mitrauallia. ecoma(n)dami adire aquella acui consento. core e corpo jnsua ballia. enulla no(n)mi pa re. | 
| . Ca s'io sono alingato, a null'omo non afesi quant'a me solo, ed i' ne sono al perire; ed io ne sono il dannegiato poi madonna msfesi mio è 'l dannagio ed ongne languire; ch'a lo suo avenimento d'amare mi travallia, e comandami ad ire, a quella a cui consento, core e corpo jn sua ballìa, e nulla non mi pare. | 
| III | 
| . Dvnqua sonio sturiduto. cio saccio certame(n)te. co(n)quelli cacercato cio chetene. cosi me adiuenuto. chellas so lauenente. eouo cercando edo no ie epene. Chotanto nodolore. eue(n) giame(n)to edolglia. uedere non pote re. cotanto didolzore. amore ebona uollia. chio locreduto auere. | 
| . Dunqua son io storiduto? Ciò saccio certamente, con' quelli c'à cercato ciò che tene, così m'è adivenuto, che, llasso, l'avenente eo vo cercando ed ò noie e pene. Chotanto n'ò dolore e vengiamento e dolglia, vedere non potere cotanto di dolzore amore e bona vollia, ch'io l'ò creduto avere. | 
| IV | 
| . Deo comagio falluto checusi lun giamente. no(n) sono tornato alamia do(n)na spene. lasso chima tenuto. fol lia diliuerame(n)te. chema leuato da gioia edibene. Ochi etalento ecore. ciascuno p(er)se sargollia inuerlei lomio vo lere. | 
| . Deo, com'agio falluto, che cusì lungiamente non sono tornato a la mia donn'a spene! Lasso, chi m'à tenuto? Follia diliveramente, che m'à levato da gioia e di bene. Ochi e talento e core ciascuno per sé s'argollia, inver' lei lo mio volere. | 
| V | 
| . Nonuo piu soferenza. ne dimorare oimai. senza mado(n)na dicui moro sta(n) do. camore mimoue(n)tenza. edicemi cheffai. latua do(n)na simuore dite asspectando. questo decto mola(n)za. efa(m)mi trangosciare. silo core mo ragio. sepiu faccio tardanza. tosto faro reo stare. dilei edime da(n)nagio. | 
| . Non vo' più soferenza, né dimorare oimai senza madonna, di cui moro stando; c'amore mi move 'n tenza e dicemi: << che-ffai? La tua donna si muore di te asspectando>> . Questo decto mo lanza, e fammi trangosciare sì lo core, moragio se più faccio tardanza: tosto farò reo stare di lei e di me dannagio. | 
