Commento

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1-7. La prima cobla ha una struttura sillogistica. Si tratta di un sillogismo che Dante avrebbe definito difettivo, perché si fonda su basi d’autorità, ossia su un’affermazione personale, che porta ad una deduzione in cui è espressa una coscienza di superiorità. I primi due versi costituiscono la protasi, i versi tre e quattro l’apodosi e gli ultimi tre la conclusione del sillogismo. Questa partizione di tipo logico corrisponde a una partizione di tipo metrico. I primi quattro versi costituiscono la parte iterativa della cobla, nella quale si possono distinguere due pedes, e gli ultimi tre formano una cauda indivisa. Bernart de Ventadorn fa quasi il verso a un tipico procedimento della logica scolastica. In questo testo si possono rintracciare alcuni echi della filosofia di Pietro Abelardo.
  
3-4. Il canto è frutto di un intimo e totale abbandono all’amore. Il poeta è tale poiché portatore di un’esperienza privilegiata d’amore. Il concetto che il canto debba sgorgare dal cuore si può far risalire ai Vangeli. In Luca 6,45 e in Matteo 12,34 è scritto che «ex abundantia enim cordis loquitur» ('parla per l’abbondanza che c’è nel suo cuore') e in uno dei Salmi si legge: «eruptavit cor meum verbum bonum». Sant’Agostino commentando questo salmo scrive: «Et unde profert Deus verbum nisi ex corde suo, ex intimo suo; tu non dicis nisi quod ex corde tuo profers» ('E da dove Dio proferisce la parola se non dal suo cuore, dal suo intimo; tu non dici nulla se non ciò che fuoriesce dal tuo cuore'). L’idea che il poetare provenga dal cuore arriva fino a Dante, Purg. XXIV, 52-54: I’ mi son un che, quando / Amor mi spira, noto e a quel modo / Ch’e’ ditta dentro vo significando. Il valore della poesia dipende dal fatto che il canto sia ispirato dall’amore. Bernart de Ventadorn polemizza quindi con coloro che poetavano senza aver provato amore. La polemica è esplicita e rinvia a quanto aveva scritto Thomas alla fine del Tristan: «esprové ne l’ai» ('non ho provato l’amore'). Si legga anche Balderico di Borgueill: « Mihi nullus amor, nulla incentiva fuerunt, exercere meum sic placet ingenium» ('non c’era nessun amore, l’ho fatto solo per esercitare l’ingegno'). In genere i poeti romanzi esrimono il concetto opposto:
 
Mes coment set qui ne l’essaie
Que puet estre ne max ne biens?
   (Chrétiens de Troyes, Cligès, vv. 3028-9)
 
[Ma come sa chi non lo prova
come può essere bene o male?]
 
e anche:
 
Nel set qui ne l’a esprové.
   (id. ibidem, v.664)
 
[Non lo conosce chi non l’ha provato]
 
Che la forza d’amore
Non sa chi non la prova.
   (Brunetto Latini, Tesoretto, vv. 2374-5)
 
Imaginar nol pote om che non prova.
   (Guido Cavalcanti, canz. Donna mi prega, v.53)
 
Che ’ntender nolla può chi non la prova.
   (Dante, Vita Nova, son. XV, v.11)
 
Chi per prova intende amore
Spero trovar pietà nonché perdono.
   (Petrarca, son, I)
 
4.   coraus: in questo aggettivo confluiscono vari significati relativi al cuore e al coro. Cfr. Leo Spitzer, L’armonia del mondo.
8-14.     L’importante non è il profitto ma l’esistenza stessa dell’amore. La gioia deriva dal fatto di essere vicino ad amore.
 
15-16.    Chi sono coloro che biasimano l’amore? Per rispondere a questa domanda è necessario riferirsi al v.33, ma bisogna anche tener presente che Marcabru era colui che parlava male d’amore.
 
18.  amor comunaus: è l’amore concesso indistintamente a tutti, non selettivo e non dettato da un sentimento gratuito, ma condizionato da concupiscenza fisica e cupidigia materiale (cfr. que ren non ama se non pren, v.21), ossia il contrario dell’amore cortese.
 
24-25.    A proposito del concetto di gratuità dell’amore si può fare riferimento alla Lettera II dell’Epistolario tra Abelardo ed Eloisa.
Abelardo aveva scritto una lettera di consolazione ad un amico nella quale aveva esposto tutte le sue disavventure, menzionando anche Eloisa. Quest’ultima scrive ad Abelardo una lettera lamentandosi di non essere stata più considerata da Abelardo dopo la sua castrazione. Abelardo le risponde di chiudersi in un convento e lei, per amor suo, fonda un convento di monache e ne diviene badessa. Scrive quindi ad Abelardo supplicandolo di scriverle almeno una lettera e rievoca alcune circostanze della loro storia d’amore.
« […] Aggiungi ancora questa circostanza straordinaria: che il mio amore è stato così folle da privarsi da sé, senza speranza di recupero, dell’unico oggetto del suo desiderio, quando, per ubbidire prontamente al tuo comando, ho cambiato ad un tempo e l’abito e l’animo. Proprio per dimostrarti che soltanto tu sei l’unico padrone del mio corpo e della mia animo. Dio sa bene che in te non ho cercato altro che te solo. Ho desiderato esclusivamente te e non le tue sostanze, non miravo al matrimonio, né alla ricchezza. E tu sai bene che sempre ho cercato di soddisfare non i miei piaceri e la mia volontà, ma unicamente i tuoi. E se il nome di moglie appar più sacro e più valido, per me è stato sempre più dolce quello di amica o, se non ti scandalizzi, di concubina o di prostituta. Perché, quanto più mi fossi umiliata dinanzi a te, tanto più ti sarei stata gradita e avrei offuscato lo splendore della tua trionfante personalità. Tu stesso, per tua bontà, non ti sei dimenticato di questo nella lettera di consolazione al tuo amico, dove ti sei degnato di esporre alcune ragioni con le quali tentavo di dissuaderti dalle infauste nozze; però non hai detto quelle per le quali preferivo l’amore al matrimonio, la libertà al vincolo. Chiamo Dio a testimone che se Augusto stesso, imperatore dell’universo, mi avesse fatto l’onore di offrirmi il matrimonio e mi avesse assicurato il perpetuo possesso di tutto il mondo, mi sarebbe parso più caro e più degno essere la tua meretrice piuttosto che la tua imperatrice. Perché non sono le ricchezze e la potenza, cose concesse dalla sorte, a rendere migliori, ma solo i meriti personali. Una donna che preferisce sposare un uomo ricco anziché un povero non può non riconoscersi molto venale. Essa desidera, più che il marito, i suoi denari. E quando è questo desiderio che porta una donna al matrimonio, più che l’amore le spetta il pagamento. È chiaro che desidera la ricchezza e che se potesse si prostituirebbe al più ricco … ».
     Non si sa se Bernart de Ventadorn conoscesse l’epistolario, ma è molto probabile che alcune composizioni di Abelardo circolassero anche in Provenza. A tal proposito Eloisa scrive ad Abelardo:
« […] Ma riconosco che specialmente due erano le doti con le quali potevi subito conquistarti l’animo di qualunque donna: il dono del verso e quello del canto, che gli altri filosofi, si sa, non possiedono. Con questo dono, simile a un gioco che ricreava l’animo dalla fatica filosofica, componesti molte canzoni, con verso e ritmo d’amore, che, per la grande soavità e della parola e del canto, si diffusero sempre più e facevano correre di continuo il tuo nome sulla bocca di tutti. E così la dolcezza della melodia faceva volare la tua fama perfino tra gli illetterati. Per questo soprattutto le donne sospiravano d’amore per te … ».
 
     Abelardo si era scontrato con San Bernardo a proposito della gratuità dell’amore. Abelardo sosteneva che Dio si potesse attingere ragionevolmente, mentre per San Bernardo Dio si trova solo nel cuore. La posizione di San Bernardo prevarrà su quella di Abelardo, che era troppo innovativo per l’epoca. Ma le due tesi presentavano molti punti di contatto a proposito del modo di amare di Dio, a proposito dell’amore puro. Abelardo sosteneva che sarebbe stata una brutta cosa se una moglie avesse amato il marito solo per le sue ricchezze e che la stessa cosa valeva per Dio. Famosissima è la formula bernardiana per la quale « l’amore è grato perché è gratuito ».
     Marcabru è molto vicino alle posizioni di San Bernardo. Quest’ultimo aveva sostenuto che « non si ama Dio senza premio, ma Lo si deve amare senza badare al premio » e che « l’amore non resta a mani vuote, tuttavia l’amore non è mercenario. Il vero amore non cerca il premio ma lo merita. ».
 
29.  agradar: è una parola chiave del componimento. Può essere ricollegata con la gratia e vuol dire sia ‘essere gradito’ che ‘dare piacere’.
 
32-35.    L’obiettivo polemico è certamente Marcabru e il suo ‘trobar naturau’. Un riferimento diretto di questo testo è infatti il componimento di Marcabru ‘Lo vers comens quan vei del fau’. Lo schema seguente mostra la serie dei rimanti che Bernart de Ventadorn riprende dal testo di Marcabru.
 
                    Marcabru              Bernart de Ventadorn
Comunaus            cobla VIII, v.5               cobla III, v.4
Coraus              cobla VIII, v.1               cobla I, v.4
Egaus                    cobla IV, v.3            cobla V, v.4
Maus                     cobla VII, v 1           cobla II, v.4      
Naturau             cobla II, v.1            cobla V,v.5
Venaus              cobla III, v.3           cobla IV, v.4
 
     Sono tutti termini che per Bernart de Ventadorn hanno una valenza negativa. Questa ripresa dei rimanti è un’ulteriore prova dell’ipotesi di Topsfield-Roncaglia, secondo la quale il ‘fols naturaus’ sarebbe Marcabru. Un’altra prova sono i versi di Peire d’Alvernhe:
 
« Marcabrus per gran dreitura
trobet d’atretal semblansa
e tengon lo tug per fol
qui no conoissa natura
e no·ill membre per que nais. »
 
[Marcabru, per gran moralismo
compose in tal modo
che tutti lo ritengono un folle
che non conosce la natura
e non si ricorda perché si nasce.]
    
Una trobairitz di poco posteriore dice pressappoco la stessa cosa:
 
« qu’en Marcabrus, a lei de predicaire
   quant en gleiza oz orador
que di gran mal de la gen mescrezen,
et el ditz mal de domnas eissamen;
e dic vos be que non l’es gran honransa
cel que ditz mal d’aisso don naissa enfansa. »
 
[che Marcabru, come un predicatore
che nella chiesa o nell’oratorio
dice gran male della gente miscredente,
così lui dice male delle donne
e io vi dico che non gli fa affatto onore
perché parla male di ciò da cui nascono i bambini.].
 
36-54.    L’ultima parte del componimento abbandona i toni polemici e riprende la definizione della fin’amors. Il poeta cerca di descrivere le qualità fisiche e morali della donna amata.
 
41.  covinen (= armonico): la convenienza è una qualità di tipo morale ed estetico.
 
42.  ric: dal germanico rihhi, è da considerare più in senso psicologico che sociale. Non si tratta di ricchezze materiali ma spirituali.
 
46.  Nadaus < natalis: è usato nel senso di ‘festoso’, di ‘festa straordinaria’, poiché il Natale era la maggiore festa dell’anno.
 
47.  olhs espiritaus (= occhi in cui traluce lo spirito): Bernart de Ventadorn fa qui riferimento a una dottrina precisa, che arriva fino a Guido Cavalcanti, nella cui poetica gli spiriti hanno un’importanza rilevante. Gli spiriti passano attraverso gli occhi ed arrivano al cuore. c’è un componimento, intitolato “Un amoroso sguardo spirituale”, dove si legge: « Ma quando sento che sì dolce spirto / dentro dagli occhi ma passo’ al core / e posevi uno spirito di gioia …». Gli occhi sono una porta attraverso cui passano gli spiriti. L’amore, secondo le teorie aristoteliche, passa sempre attraverso gli occhi. Nel De Amore si dice « amor est passio quaedam procedes ex visione » (l’amore è una passione che procede dalla visione).
 
48.  so fai tan len: vuol dire ‘è così restia a farlo’.
 
51-53.    Bernart de Ventadorn vanta la bontà del suo vers e la bontà di colui che lo capisce bene. Simili espressioni d’autocompiacimento sono frequenti tra i trovatori e risalgono già a Guglielmo IX. Bernart de Ventadorn si sofferma anche sulla ricezione del vers, così come aveva fatto Jaufré Rudel.
 
55.  e·l di e·l fai: cfr. i versi Jaufré Rudel « Non sap chantar qui so non di / ni vers trobar qui motz no fa. ».