

I |
TRoppo agio fatta lungia dimoranza. lasso chio nonuidi. ladolze speme achui mera dato. sonne smaruto euiuone jmpesanza. oime chenonma vidi. delfolle senno mio chemanganato. Edallungiato. dalosuo comando. pero edritto congni gioia minfrangna. poi chio malungo dalasua compan gna. ecome piu meneuo alungiando. meno digioia epiu dolglio affannando. |
Troppo agio fatta lungia dimoranza, lasso, chʹïo non vidi la dolze speme a chu iʹ m’era dato: sonne smaruto e vivone im pesanza, oimè, ché non mʹavidi del folle senno mio, che mʹa ʹnganato ed allungiato da lo suo comando: ed allungiato – da lo suo comando: però è dritto c’ongni gioia m’infrangna, poi chʹio mʹalungo da la sua compangna; e come più me ne vo alungiando, menʹo di gioia e più dolglio affannando. |
II |
Semia follia minganna emaucide. eda pena etormenti. bene rasgione che nullo om(m)o mipianga. chio sono bene come quelli chesiuide. nelagua jmfino adenti. emore disete temendo nolglia franga. Manorimanga. jo nelosco lglio afranto. cosi agio p(er) somilgliante eranza. jsmisurata lasua dolze spera nza. eso sio p(er)do leichui amo tanto. p(er)duto me agioia eriso echanto. |
Se mia follïa mʹinganna e mʹaucide e da pena e tormenti, ben è rasgione che nullo ommo mi pianga, ch’io sono bene come quelli che si vide ne l’agua imfino a denti, e more di sete temendo nolgli afranga: ma no rimanga io ne lo scolglio afranto. ma no rimanga – io ne lo scoglio afranto. Così agʹio per somilgliante eranza ismisuata la sua dolze speranza: e so, sʹio perdo lei chui amo tanto, perdut’o me a gioia e riso e chanto. |
III |
Tantaio minespreso feramente. chio nonmisao comsilglare. grande ra sgione chio perischa atale sortte. chio faccio comel cieciero ciertame(n)te. chesi sforza achantare. quando sisente ap(ro)ssimare lamortte. Epiù mefortte. lapena ouio sono dato. quando nonuegio quella dolze spera. cheneloschuro midono lumera. ome sio fosse unanno mortto stato. sidouerei allei esere tornato. |
Tantʹaio minespreso feramente, chʹio non mi sao comsilgliare: grande rasgionʹè chʹio perischa a tale sortte, ch’io faccio come ʹl cieciero ciertamente, che si sforza a chantare quando si sente aprossimare la mortte. E più mʹè fortte la pena ovʹio sono dato, quando non vegio quella dolze spera, che ne lo schuro mi donò lumera: ome, sʹio fosse un anno mortto stato, sì doverei a˙llei esere tornato. |
IV |
Sicome nomsipuo rileuare. dapoi chechade giuso. loleofante che digra nde possanza. mentre cheglialtri cololoro gridare. uengono cheleuano suso. erendorlli jlcomfortto elabaldanza. atale sembianza. chanzone uate ne jncorsso. adongne fino amante douungue sede. chedegiano p(er)me gri dare merzede. chise p(er) loro nonme fatto socorsso. fraiternafini deldi spera re sono corsso. |
Sì come nom si può rilevare, da poi che chade giuso, lo lëofante, chʹè di grande possanza, mentre che gli altri co lo loro gridare vengono, che levano susuo e rendorlli il comfortto e la baldanza; A tale sembianza, chanzone, vatene in corsso ad ongne fino amante dʹovungue sede, che degiano per me gridare merzede; ché se per loro non mʹè fatto socorsso, fra i ternafini del disperare sono corsso. |
NOTE:
1) Molto significativa è l’attenzione di Aldo Menichetti per lo schema metrico delle canzoni che lo porta sovente a distaccarsi dalla numerazione dei versi dei singoli componimenti rispetto all’originale manoscritto e a segnalare eventuali asimmetrie ed irregolarità rispetto alla norma versificatoria. Alla destra della diplomatico-interpretativa si riportano eventuali differenze del testo di Menichetti nella disposizione dei versi rispetto all'originale manoscritto.