Revisione di Edizione diplomatico-interpretativa del Lun, 31/05/2021 - 19:51

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I
TRoppo agio fatta lungia dimoranza. lasso chio nonuidi. ladolze speme
achui mera dato. sonne smaruto euiuone jmpesanza. oime chenonma
vidi. delfolle senno mio chemanganato. Edallungiato. dalosuo comando.
pero edritto congni gioia minfrangna. poi chio malungo dalasua compan
gna. ecome piu meneuo alungiando. meno digioia epiu dolglio affannando.
Troppo agio fatta lungia dimoranza,
lasso, chʹïo non vidi
la dolze speme a chu iʹ m’era dato:
sonne smaruto e vivone jm pesanza,
oimè, ché non mʹavidi
del folle senno mio, che mʹa ʹnganato
ed allungiato
da lo suo comando:
però è dritto c’ongni gioia m’infrangna,
poi chʹio mʹalungo da la sua compangna;
e come più me ne vo alungiando,
menʹo di gioia e più dolglio affannando.
II
Semia follia minganna emaucide. eda pena etormenti. bene rasgione che
nullo om(m)o mipianga. chio sono bene come quelli chesiuide. nelagua jmfino
adenti. emore disete temendo nolglia franga. Manorimanga. jo nelosco
lglio afranto. cosi agio p(er) somilgliante eranza. jsmisurata lasua dolze spera
nza. eso sio p(er)do leichui amo tanto. p(er)duto me agioia eriso echanto.
Se mia follïa mʹinganna e mʹaucide
e da pena e tormenti,
ben è rasgione che nullo ommo mi pianga,
ch’io sono bene come quelli che si vide
ne l’agua jmfino a denti,
e more di sete temendo nolgli afranga:
ma no rimanga
jo ne lo scolglio afranto.
Così agʹio per somilgliante eranza
jsmisuata la sua dolze speranza:
e so, sʹio perdo lei chui amo tanto,
perdut’o me a gioia e riso e chanto.
III
Tantaio minespreso feramente. chio nonmisao comsilglare. grande ra
sgione chio perischa atale sortte. chio faccio comel cieciero ciertame(n)te.
chesi sforza achantare. quando sisente ap(ro)ssimare lamortte. Epiù mefortte.
lapena ouio sono dato. quando nonuegio quella dolze spera. cheneloschuro
midono lumera. ome sio fosse unanno mortto stato. sidouerei allei esere
tornato.
Tantʹaio minespreso feramente,
chʹio non mi sao comsilgliare:
grande rasgionʹè chʹio perischa a tale sortte,
ch’io faccio come ʹl cieciero ciertamente,
che si sforza a chantare
quando si sente aprossimare la mortte.
E più mʹè fortte
la pena ovʹio sono dato,
quando non vegio quella dolze spera,
che ne lo schuro mi donò lumera:
ome, sʹio fosse un anno mortto stato,
sì doverei a˙llei esere tornato.
IV
Sicome nomsipuo rileuare. dapoi chechade giuso. loleofante che digra
nde possanza. mentre cheglialtri cololoro gridare. uengono cheleuano
suso. erendorlli jlcomfortto elabaldanza. atale sembianza. chanzone uate
ne jncorsso. adongne fino amante douungue sede. chedegiano p(er)me gri
dare merzede. chise p(er) loro nonme fatto socorsso. fraiternafini deldi spera
re sono corsso.
Sì come nom si può rilevare,
da poi che chade giuso,
lo lëofante, chʹè di grande possanza,
mentre che gli altri co lo loro gridare
vengono, che levano susuo
e rendorlli jl comfortto e la baldanza;
A tale sembianza,
chanzone, vatene jn corsso
ad ongne fino amante dʹovungue sede,
che degiano per me gridare merzede;
ché se per loro non mʹè fatto socorsso,
fra i ternafini del disperare sono corsso.