Revisione di Edizione diplomatico-interpretativa del Mer, 30/06/2021 - 17:36

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I
OR uolglio chantare poi chantare mitene. chelmerito damore combenena(n)za.
jnallegranza. affanno me tornato. mille mercie alamoroso bene. chedi
spieto uer me conorgolglianza. poi dumilianza. marico donato. A tale
ma dato. chemifa parere. gioia lapena eltormento gioco. agiendio partte e loco.
nel suo nobile sauere. chio gia p(er)me contare io nolsauria. lasua bieltade quante
poderosa. chelaira tenebrosa. sapare faparere dinotte dia.
Or volglio chantare poi chantare mi tene
chʹel merito dʹamore com benenanza,
in allegranza                                              
affanno mʹè tornato:                                           in allegranza – affanno m'è tornato:
mille mercié a l’amoroso bene
che dispietò verʹ me con orgoglianza,
poi dʹumilianza
m’a rico donato.                                               poi d'umilianza – m'ha rico<r> donato.
A tale mʹa dato                                                A tal m'ha dato – che mi fa parere
che mi fa parere
gioia la pena e lʹ tormento gioco,
agiend’io partte e loco
nel suo nobile savere;
chʹio già per me contare io no ʹl savria
la sua bieltade quantʹè poderosa,
che lʹaira tenebrosa,
sʹapare, fa parere di notte dia.
II
DUmqua sio chanto benagio rasgione. membrando alasua gaia porttatura.
ongne ranchura. auere degio nobrio. sillargamente mena fatto mesione. chenou(n)
volere congiunta suanatura. meco si chio paura. nono dip(er)dere mai losuo disire.
sio. Matengno jmfio. lap(ro)pieta dellamia uita. p(er) chio congioia lapresi nomforzando.
mapura me(r)ze chiamando. dengno didarmi lagioiosa compita. ondio sono rico da
llei conosciendo. chel suo ualore auanti ma coretto. delo dispetto. douera pensan
do ritemendo.
Dumqua, s’io chanto, ben agio rasgione:
membrando a la sua gaia porttatura
ogne ranchura
avere degio ʹn obrio;                                         ogne rancura – aver deg<>io 'n obrio
si˙llargamente  me nʹa fatto mesione,
che non volere congiunta sua natura
meco, si chʹio paura
non o di perdere mai lo suo disio.
Ma tengno im fio
la propietà della mia vita,
perchʹio con gioia la presi nom forzando,
ma, pura merzé chiamando,
dengnò di darmi gioiosa compita:
ondʹio sono rico da˙llei, conosciendo
chʹel suo valore avanti m’a corètto
de lo dispetto
dov’era, pensando, ritemendo.
III
Ioporttai mia feruta lungiamente. cielata chio nonuolli adimostrare. p(er) nongra
uare. lasua ferma conoscienza. fe como mo saluagio ueramente. quanda rio
temppo forza locantare. colosperare. chalbuono uengna chabassi sua dolglienza.
Cosi pura credenza. auea tutora nelsuo rico ualore. chio nomsaria dalsuo bene
dipartito. sio lestesse gie chito. ma auanzerei comaltro seruidore. ondelsuo pre
sgio matuto donato. piu che medesimo lei nondimandai. ondio ringrazo or mai.
amore ellei elmio dolze aspetato.                                                            
Io porttai mia feruta lungiamente
cielata, ch’io non volli adimostrare
per non gravare      
la sua ferma conoscienza:
feʹ comʹomo salvagio veramente:
quand’a rio temppo, forza lo cantare
co lo sperare
chʹal buono vengna chʹabassi sua dolglienza.
Così pura credenza
avea tutʹora nel suo rico valore,
chʹio nom saria dal suo bene dipartito
sʹio le stesse giechito,
ma avanzerei com’altro servidore:
onde ʹl suo presgio mʹa tuto donato
più che medesimo lei non dimandai;
ond’io ringrazo ormai
amore e˙llei e ʹl mio dolze aspetato.
IV
Rjngrazio uoi difino core merze rendo. me(r)ze mia donna ancora dengno nomsia.
sialta sengnoria. me acquistare. esio nauesse partte p(er) uno giendo. serebe
altura digrande gientilia. nonche ballia. diuoi senzessere pare. P(er)zo laudare.
miconueria ma no(n) sono sisen(n)nato. cheluostro presgio ame sico nue nisse. maco
mel sagio disse. chi nompo tuto alquanto glie serbato. pero presgio ualore (et)
chaunoscienza. jnuoi formata etuto acompimento. epiu bene p(er) vno ciento. chio
diui sare nomso p(er) la mia scienza.
Ringrazio voi, di fino core merzé rendo:
merzé, mia donna, ancora dengno nom sia
sì alta segnoria
me acquistare;
e sʹio nʹavesse partte per uno giendo,
serebe altura di grande gientilia,
non che ballia
di voi senz’essere pare.
Perzò laudare
mi converia, ma non sono si sennato
che ʹl vostro presgio a me si convenisse;
ma, come ʹl sagio disse,
chi nom po’ tuto, alquanto gli è serbato:
però presgio valore et chaunoscienza
in voi formata e tuto acompimento
e più bene per uno ciento
chʹio divisare nom so per la mia scienza.

NOTE:
1)
Molto significativa è l’attenzione di Aldo Menichetti per lo schema metrico delle canzoni che lo porta sovente a distaccarsi dalla numerazione dei versi dei singoli componimenti rispetto all’originale manoscritto e a segnalare eventuali asimmetrie ed irregolarità rispetto alla norma versificatoria. Alla destra della diplomatico-interpretativa si riportano eventuali differenze del testo di Menichetti nella disposizione dei versi rispetto all'originale manoscritto.