Revisione di Edizione diplomatico-interpretativa del Lun, 31/05/2021 - 16:43

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I
Lontanamente portai. mia feritta jncielato. e fui temente didire mia dolglienza.
tuto jnme maginai. uostro prencipio stato. credendo jnuoi champare p(er) ubidenze.
Chelaualenza. diuoi donna altera. fue me pantera. epresemi damore. come daulore.
dessa siprende ongnaltra fera. cosi diuoi mipresi jnamorando.  mercie chiamando.
istato sono s cherente. sefosse auoi piaciente. didare ancora cio che dimostro jnciera.
Lontanamente portai
mia ferita jn cielato
e fui temente di dire mia dolglienza;
tuto jn me ʹmaginai
vostro prencipio stato,
credendo in voi champare per ubidienza:
ché la valenza
di voi, donna altera,
fueme pantera
e presemi d’amore
come d’aulore
d’essa si prende ong’altra fera:
così di voi mi presi jnamorando;
mercié chiamando,
istato sono cherente,
se fosse a voi piaciente,
di dare ancora ciò che dimostro jn ciera.
II
Accio chio piu cielare. nomposso ilmio tormento. gientile donna lodiciere miconuene.
tanto misforza amare. chio non(n)o sentimento. conosco cio chio che dauoi uene. E
gioia epene. equanto dipossanza. miueste amanza. piu chio nomso dire. del mio agie
chire. convene ormai auoi auere pietanza. chelmio penare ablasmo nontornasse seo
piu ua dimandasse. detto nomsi paresse cio chio portto. perio pero uoria fare portto.
delmio lontano ateso jmbene nanza.
Acciò ch’io più cielare
nom posso il mio tormento,
gientile donna, lo diciere mi convene:
tanto mi sforza amare,
ch’io nonn-o sentimento:
conosco ciò chʹiʹ o che da voi vene;
e gioia e pene
e quantʹo di possanza
mi veste amanza
più chʹio nom so dire.
Del mio agiechire
convene ormai a voi avere pietanza
che ʹl mio penare a blasmo non tornasse:
sʹeo più vʹadimandasse,
detto nom si paresse ciò ch’io portto:
però voria fare portto
del mio lontano ateso jm beneanza.
III
Quando pemsso edisguardo. lauostra grande bieltate. jnciaschuno membro sento li
sospiri. cotanto no riguardo. delotardare chefate. nomp(er)dano cio ondatendono di
siri. Oidolzi smiri. elagaia fazone. maueno diuoi bella uegiendo delparpalglio ne a
uere mipare natura. chesimette alalrsura. p(er) lo chiarore del foco alastasgione. cosi
mauene diuoi bella uegiendo. chemimoro temendo. cherendo auoi merzede edancora
confede. che midoniate sagio jnuoi rasgione.        
Quando pemso ed isguardo
la vostra grande bieltate,
jn ciaschuno membro sento li sospiri,
cotanto n’o riguardo
de lo tardare che fate
nom perdano ciò, ond’atendono disiri.
O i dolzi smiri
e la gaia fazone!
Del parpalglio ne avere mi pare natura,
che si mett a lʹalrsura
per lo chiarore del foco a la stasgione:
così m’avene, di voi, bella, vegiendo,
che mi moro temendo,
cherendo a voi merzede ed ancora con fede
che mi doniate sagio jn voi rasgione.
IV
P(er)lungo atendimento. ongne frutto p(er)uene. ueraciemente asua stagione eloco.
almi nascime nto. simile nonauene. che compiu tardo piu dimore jmfoco. Se
non(n)a loco. jnuoi merze cherere. nompo parere. jnme uita gioiosa. ma comfa lon
talosa. conuene chio facca agiusto mio podere. chalalbero ladoue piu costuma.
sisi comsuma. p(er)losuo dilletto. edio simile aspetto. senonmidate nomposse ualere.
Per lungo atendimento
ongne frutto pervenene
veraciemente a sia stagione e loco;
al mi nascimento
simile non avene,
che, comʹ più tardo, dimoro jm foco.
Se nonn-a loco
jn voi merzé cherere,
nom po’ parere
jn me vita gioiosa,
ma comʹ fa lʹontalosa
convene ch’io facca a giusto mio podere,
chʹa lʹalbero la dove più costuma
sì si comsuma
per lo suo diletto:
ed io simile aspetto:
se non mi date, nom posse valere.
V
Poi che p(er)me non ualglio. sedauoi nomp(ro)segio. dunque sio prendo uostre lafatura.
piacciaui ilmio traualglio. che quantio piu miuegio. sento locore jmpiu cociente
arsura. Edo paura. senomp(ro)uedete. moro cheuoi uolete. poi che diuoi nonagio. e
sendo jnuostro omagio. edio mimoro epieta non auete. bemfora ormai stasgione
tanto sofertto. diuoi amare couertto. dauere alchuna gioia. anzi chadio mi moia.
poria champare seuoi mi so corrette.                           
Poi che per me non valglio,
se da voi nom prosegio,
dunque, s’io prendo, vostr’è la fatura:
piacciavi il mio travaglio,
ché, quant’io più mi vegio,
sento lo core jm più cociente arsura:
ed o paura
se nom provedete
moro che voi volete,
poi ched iʹvoi non agio
esendo jnvostro omagio;
ed io mi moro e pietà non avete.
Bem fora ormai stasgione, tant’o sofertto
di voi amare covertto,
d’avere alchuna gioia
anzi cad io mi moia:
poria champare, se voi mi socorrette.