Revisione di Edizione diplomatico-interpretativa del Mer, 30/06/2021 - 17:08

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I
Lamia uita poi sanza comfortto. forzatamente omisa jmdisperanza. p(er) che pieta
nza non mi uale cherere. tante logrande martiro chedio portto. congnal
tra cosa rengno jndisperanza jnobrianza. edincrudele pesanza. raddoppio meo po
dere. Pemsando chio fui rico oltre misura. eportai gioia comaltro amadore. poi
partio condolore. elalegranzamitorna jnranchura. diuoi gientile mia donna fui
gaudente. epresi frutto jnuostra dengnitate. edora uer niquitate. senza ofensione
di farmene p(er)dente.
La mia vita, poi sanza comfortto,
forzatamente o misa im disperanza,
perché pietanza non mi vale cherere;
tantʹè lo grande martiro ched io portto
cʹognʹaltra cosa rengno in obrïanza,
ed in crudele pesanza
radoppio meo podere,
pemsando chʹio fui rico oltre misura
e portai gioia comʹaltro amadore,
poi partio con dolore
e lʹalegranza mi torna in ranchura;
di voi, gientile mia donna, fui gaudente
e presi frutto in vostra dengnitate:
ed ora ver niquitate
senza ofensione di farmene perdente.
II
P(er)dente nongia p(er)mia comessione. nomfui diuoi nedessere nomporia. chetuta uia.
diquantio ualesse. nomsia di uoi afarui subezione. disiderando souente ladia.
chauostra sengnoria. lome seruire piaciesse. Comio sollea lasso doloroso. prendere
partte deluostro rengno. piu chio nonera dengno. sio uichapesse ancora saria gioio
so. p(er)cio magiore dolore degio portare. perdere lacosa chagio posseduta. chesio
nolauesse auuta. seria danno mano sidablasmare.
Perdente, non già per mia comessione
nom fui di voi; nèd essere nom poria
che tuta via                                            che tutavïa – di quant'io valesse,
di quantʹio valesse,
nom sia di voi, a farvi subezione,
disiderando sovente la dia
chʹavostra sengnoria
lo me servire piaciesse.
Comʹio sollëa, lasso doloroso,
prendere partte de lʹ vostro rengno
più chʹio non era dengno!
Sʹio vi chapesse ancora, saria gioioso.
Perciò magiore dolore degio portare,
perdere la cosa chʹagio posseduta,
che s’io no l’avesse avuta:
seria danno, ma no sì da blasmare.
III
Sjo blassimo auesse gia p(er) mio follore. nonmi doria dicio chemincontrasse. esio
merze chiamasse. p(er)dere nedoueria proua. poi chio nomsia maleale seruido
re nomseria fallo sio pieta trouasse. eame sadumiliasse. il uostro core edamerze
simuoua. Sella nauera el suo ritenete. delloleone quande piu adirato. chetorna
umiliato. achi merze lichiere uoi il sauete. eio nomfino uoi merze cherendo.
eporia sucitare duna colglienza. diuoi me compiagienza. poi fineria lo mio
dolore seruendo.
S’io blassimo avesse già per mio follore,
non mi doria di ciò che mʹincontrasse,
e sʹio merze chiamasse,
perdere ne doveria prova;
poi chʹio nom sia maleale servidore
nom seria fallo sʹio pietà trovasse
e a me s’adumiliasse
il vostro core ed a merzé si muova,
se˙lla navera el suo ritenete
dello leone quandʹè più adirato
che torna umilïato
a chi merzé li chiere, voi il savete.
E io nom fino voi merzé cherendo
e poria suscitare dʹunʹacolglienza
di voi meco ʹm piagienza,
poi fineria lo mio dolor servendo.
IV
Seruendo fineria gia lamia dolglia. elo penare misaria alegranza. sedio
sauere ciertanza. potesse delofesa. laquale nomfeci enomsaria mia uolglia.
ma piacie tanto auostra gientileza. dime dare agresteza. chio sto contento none
fo difesa. Elluso delseghuscio uolglio seguire. quando ilsengnore lobatte piu co
ciente. selchiama dipresente. etorna e mette jngioia lolanguire. setale manera
ame tenere nonuale. conuene ame stesso esere nemico. poi chio nontruouo omoamico.
dele mie mani saron(n)ne micidiale.
Servendo fineria già la mia dolglia
e lo penare mi saria alegranza,
sed io savere ciertanza
potesse de lʹofesa,
la quale nom feci, e nom saria mia volglia:
ma piacie tanto a vostra gientileza
di me dare agresteza,
chʹio sto contento,
no ne fo difesa;
e˙llʹuso del seghuscio volglio seguire:
quando il segnore lo batte più cociente,
seʹl chiama, di presente
eʹ torna, e mette in gioia lo languire;
se tale manera a me tenere non vale,
convene a me stesso esere nemico:
poi chʹio non truovo omo amico
de le mie mani sarònne micidiale.
V
Aime lasso chedira lagiente. selauostra belleza edispietata. sera p(er)me blasmata. abi
endo presgio dicrudalitate. dipoi lamortte larma mia dolente. dicio sicredera et
ssere dannata. p(er)cio sia acomandata. auoi chauete jncio lalibertate. Chiodo dire cha
lpulichano diuene. chesucita lisuo filgli dimortte. eciertto nolglie fortte. mafugie il
suo dolore engioia riuene. cosi poreste surgiere eamendare. lamortte elfallo esaria
vi legiero. sep(er)lo mio preghero. doueste solo unora adimorare adumiliare.
Aïmè lasso, che dirà la giente,
se la vostra belleza è dispietata?
Serà per me blasmata,
abiendo presgio, di crudalitate.
Dipo la mortte, l’arma mia dolente
di ciò si crederà esser dannata:
perciò sia acomandata
a voi, ch’avete in ciò la libertade:
chʹiʹ odo dire chʹal pilichano divene
che suscita li suo filgli di mortte,
e cierto no lgli è fortte,
ma fugie il suo dolore eʹn gioia rivene:
così poreste surgiere e amendare
la morte e ʹl fallo, e sariavi legiero,
se per lo mio preghero
doveste solo un’ora adumiliare.