Assai miplageria. seccio fosse
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I. Assai mi plageria se ciò fosse, c’amore avesse in sè sentore d’intendere, di dire ch’eo li rimenbreria como fa servidore per fiate a siuo segnore meo lontano servire. E fariali a savire lo male un Dio non m’ozo lamentare a quella che ‘l meo cor non po’ obbriare. M’amor non veo et eo ne son temente per che ‘l meo male adesso è più pungente;
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Amor senp(re) miuede. ea min suo podere. cheo no(n) posso uedere. sua propria figura. Cheo son ben ditale fe de. poicamor po ferire. credo possa o guarire. segondo sua natura. Cio sé e chemassigura. cheo son tutto alasua signoria. como ceruio in calciato mante uia. Che qua(n)do lo mo losgrida piu forte. torna uer lui nondubitando morte.
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II. Amor senpre mi vede e ha mi ‘n suo podere ch'eo non posso vedere sua propria figura. Ch’eo son ben di tale fede poi c’amor po’ ferire credo possa o guarire segondo sua natura. Ciò s'è che m’assigura ch’eo son tutto a la sua signoria como ceruio incalciato mante uia Che, quando l’omo lo sgrida piu forte, torna ver lui non dubitando morte. |
Non douerea dottare. amoruera
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III. Non doverea dottare amor veracemente poi leale ubidente li fui da quello giorno. Che mi seppe mostrare lagioi che senpre ho ‘n mente che m’ha distrettamente tutto legato in torno. Sì come l’unicorno di una pulcella vergine innaurata che da li cacciatori è amaestrata de la qual dolcemente s’innamora sì chè lo lega e non se ne dà cura.
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Poi chemappe ligato. also gliocchi
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IV. Poi che m’appe ligato alsò gli occhi e sorrise sì c’a morte mi mise como lo badalisco. C’alcide che gli è dato co glio cchi soi m'alcise. La mia mort’è cortise. ch’eo moro e poi rivisco Deo, che forte visco me pare che sia prezo a le mie ale che ‘l vivere e ‘l morire non mi vale com’omo in mare si vede perire e campare potesse ‘n terra gire;
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Terra mifora porto. Diuita sigu ransa. poi mercededottansa. mi distringie eson muto. Cheo mene sono accorto. damor chennomau ansa. poi p(er)lunga aspettansa. lo giudeo ep(er)duto. Sseo nonaggio aiuto. damor chemaue etene in sua p(re)gione. no(n)so ache corte dima(n) di ragione. farraggio como lo pe netensiale. chespera bene soffere(n) do male.
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V. Terra mifora porto di vita siguransa poi mercede dottansa mi distringie e son muto. Cheo me ne sono accorto d’amor che no mavansa poi per lunga aspettansa lo giudeo è perduto. Ss’eo non aggio aiuto d’amor che m’ave e tene in sua pregione. non sò a che corte dimandi ragione farraggio como lo penetensiale che spera bene sofferendo male.
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