Revisione di Commento del Sab, 09/01/2021 - 15:42

Versione stampabilePDF version

La canzone Tutto 'l dolor ch'eo mai portai fu gioia è composta da sette stanze: le prime cinque di 14 versi (13 endecasillabi e 1 settenario) e le ultime due di 6 versi (5 endecasillabi e 1 settenario), che formerebbero la cauda. La canzone è formata da coblas singulars, ma è anche importante notare la presenza di cobals capcaudadas (IV - V) e di coblas capdenals (II - III- V).

Riportiamo qui di seguito lo schema rimico completo:
 
1 A B C B A B C B D d E E D E
2 A B C B A B C B D d E E D E
3 A B C B A B C A B b D D B D
4 A B C B A B C B D d E E D E
5 A B C B A B C B D d E E D E
6 A a B B A B
7 A a B B A B
 
A uno studio più approfondito, possiamo trovare uno schema identico in una canzone di Jacopo Mostacci, A pena pare - ch’io saccia cantare (cfr. REMCI), oltre che, in maniera simile, in un componimento del trovatore Matfré Ermengau (Drechs e natura…): a b c b a b c b d d c (cfr. Répertoire métrique, I. Frank). Lo schema rimico della canzone di Guittone manterrebbe una sua perfezione se non fosse per una ripetizione di rima in -ato (B) che dai pedes si riversa nel sirma della stanza. A tale proposito, Leonardi ha fatto notare la presenza della rima fiore (fore V R) là dove (v. 36) ci si aspetterebbe una rima in -ato, emendata per congettura da Picone in tormentato (isventurato nella Giuntina); dopo la suddetta rima (B), infatti, ci si aspetterebbe un cambio di rima (D), mentre viene ripetuta la rima in -ato, mancata appunto al v. 36.

 


I.

1.
L'incipit è caratterizzato dalla comune e apparentemente paradossale forma dell'amor cortese, che unisce gioia e dolore, lessico sia euforico (gioia, piacer) che disforico (dolor, noia, tristore, povertà, oltraggio). Questa commistione evidenzia subito il furor amoroso e l’impossibilità di amare l’amata, concetto che ci conduce alla «passio quaedam innata, procedens ex visione et immoderata cogitatione» di Andrea Cappellano [De Amore, I.I]. Il dolore, quindi, prevale (e la gioia neente apo l dolore) e il dolore stesso parrebbe essere associato al concetto di povertà: il poeta ama, ma il dolore lo fa tornare in uno stato di povertà sottraendolo all’amore, alla ricchezza (ciò può essere confermato dal v. 23: «Ch’a lo riccor d’amor null’altro è pare»). - eo: freq. senza anafonesi normalmente ad Arezzo (Castellani), come Deo, meo. Da notare che V e P riportano la forma in anafonesi (io).

2.
neente:
‘niente’, forma non ancora dissimilata, là dove neiente avrebbe provocato ipermetria; neiente (< ne-gente) è forma tramandata sia in antico senese che in aretino (Rohlfs); apo: 'nei confronti di' - Si intenda: la gioia non (è) niente nei confronti del dolore.

3.
meo:
forma più freq. in L rispetto a mio; cor: parola poetica per eccellenza, sempre senza dittongo; sochorga: tipica resa grafica <-ch-> per la resa della velare sorda, in oscillazione, ad esempio, con <c-> (cfr. v. 4). Prevalgono le scrizioni <ca>, <co>, <cu> su quelle <cha> ecc. - Questi ultimi due versi spiegano e amplificano il paradosso precedente: la gioia provata, seppur ricavata da un dolore, nulla può in confronto al dolore del cuore, al quale solo la morte potrà porre eterno rimedio.

4.
veo: ‘vedo’ (vegio in V) con sincope (cfr. anche vao, presente passim in L). - La sentenza è decisiva: nulla, rispetto a quanto detto fin'ora, può più avere un qualche valore per il poeta.

5.
pò:
‘può’, esito non dittongato (< lat. POTET), pote si oppone alla forma ditt., forse perché sentito come latinismo; noia: dal. provenz. enoja ('noia', ma anche 'tristezza'). - Ritorna la forma chiasmica del primo verso: prima del piacere, la noia ha poco potere.

6. om: ‘uomo’, si può considerare un latinismo (cfr. hom in R). - Si intenda: 'ma dopo (il piacere) ha potere (la noia) di dar tristezza troppo grande a un uomo'. Sebbene forte troppo possa anche concordarsi con tristore, se rispettiamo la sequenza quantitativa sancita da poco, prima, e troppo forte, dopo, gli agg. sarebbero da ricondurre logicamente a noia.

7.
conven:
‘conviene’, mancato ditt. Prevalenza in L di vene  su viene.

8.
ritornator:
'chi si viene a trovare di nuovo in un determinato stato o condizione' (TLIO, la forma è prima e unica attestazione), non sonorizzato (insieme a entrator), a differenza di V e R. - Soprattutto conviene che povertà si conceda a chi viene a trovarsi per la seconda volta in questa situazione, che non a chi è neofita.

9.
Il dunque incipitale riprende il concetto precedente sul topos della povertà: il poeta, che ha già fatto esperienza ed è quindi ritornatore, torna anche in povertà. Adonqu’eo: più freq. la forma senza anafonesi.

10.
piò: 'più', l’oscillazione tra giò e giù provoca quella tra piò e più PLUS, tipica del toscano antico (dove prevale piò) (Castellani, Gramm. stor., p. 290); acquistato: in senso fig. (TLIO). - Si intenda: 'dopo essere stato ricco'.

11.
paraggio: dal prov. paratge ('nobiltà, lignaggio'). - 'Come mai non fece nessuno del mio stesso lignaggio'; l'atto di tornare in una situazione di povertà è eccezionale ed evidenzia una condizione unica per il poeta.

12.
La prima stanza si chiude con una domanda e una risposta: 'Soffrirà Dio nel non vedermi più vivere contro la dignità di tutta la gente e fuori del mio senno? Non credo, a meno che non voglia la mia dannazione'. - sofferrà: ‘soffrirà’, senza sincope vocalica, oltraggio: dal fr. ant. oltrage (DELI); più: qui prevale su piò. Cfr. v. 10.

13.
for:
forma freq. aretina (< FORIS, FORAS) (Castellani); sennato: senno (prov. sen) è termine per eccellenza dell'amor cortese, facente parte del Quarteron che vede Razo, Mezura, Saber, Sen.

14.
vol:
in tutto L, nelle forme ‘volere’ è predominante in monottongo; mio: caso di oscillazione anafonetica; dannaggio: dal prov. damnatge (DEI).

 

II.

15.
La seconda stanza si apre con un lamento che prelude alla descrizione omaggiante l'amata. Presa coscienza dell’amaro amore, il poeta elogia la donna amata (tutto ben ch’è ‘n voi somna grandessa) e manifesta piena deferenza nei suoi confronti. Non solo: la sua è profonda consapevolezza di un amore ‘mal visto’ (vidi peggio il dibonaire core), non guardato con la virtù richiesta dall’amor cortese; di conseguenza, come se fosse una regina, la donna non può abbassare il suo cuore allo stesso livello dell’amante, posto decisamente più in basso.

16.
Altro topos letterario fondamentale: la bellezza della donna è sovrannaturale (lett. sopra natura), cioè sine mensura e quindi divina. natoral: o protonica (sviluppo di Ū latina  > o ); bellessa: mantiene sempre questa grafia, <-ss->, a indicare una sibilante di grado forte (vd. anche Aresso, Palasso, solasso). Fenomeno principale dei diall. tosc. occ.: perdita (per influsso sett.) dell’elemento occlusivo delle affricate /z/ (sorda e sonora), che vengono a coincidere con /s/ (sorda e sonora), si pensa nella prima metà XII sec.

17.
piacenter:
dal prov. plazentier, qui senza palatalizzazione del nesso t + j.

18.
somna:
altra parola fortemente connotante una posizione superiore, irraggiungibile; tipica grafia alternativa per somma; grandessa: vd. supra v. 15.

19.