Revisione di Commento del Sab, 09/01/2021 - 14:22

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La canzone Tutto 'l dolor ch'eo mai portai fu gioia è composta da sette stanze: le prime cinque di 14 versi (13 endecasillabi e 1 settenario) e le ultime due di 6 versi (5 endecasillabi e 1 settenario), che formerebbero la cauda. La canzone è formata da coblas singulars, ma è anche importante notare la presenza di cobals capcaudadas (IV - V) e di coblas capdenals (II - III- V).

Riportiamo qui di seguito lo schema rimico completo:
 
1 A B C B A B C B D d E E D E
2 A B C B A B C B D d E E D E
3 A B C B A B C A B b D D B D
4 A B C B A B C B D d E E D E
5 A B C B A B C B D d E E D E
6 A a B B A B
7 A a B B A B
 
A uno studio più approfondito, possiamo trovare uno schema identico in una canzone di Jacopo Mostacci, A pena pare - ch’io saccia cantare (cfr. REMCI), oltre che, in maniera simile, in un componimento del trovatore Matfré Ermengau (Drechs e natura…): a b c b a b c b d d c (cfr. Répertoire métrique, I. Frank). Lo schema rimico della canzone di Guittone manterrebbe una sua perfezione se non fosse per una ripetizione di rima in -ato (B) che dai pedes si riversa nel sirma della stanza. A tale proposito, Leonardi ha fatto notare la presenza della rima fiore (fore V R) là dove (v. 36) ci si aspetterebbe una rima in -ato, emendata per congettura da Picone in tormentato (isventurato nella Giuntina); dopo la suddetta rima (B), infatti, ci si aspetterebbe un cambio di rima (D), mentre viene ripetuta la rima in -ato, mancata appunto al v. 36.

 


 

1.
L'incipit è caratterizzato dalla comune e apparentemente paradossale forma dell'amor cortese, che unisce gioia e dolore, euforia e disforia. - eo: freq. senza anafonesi normalmente ad Arezzo (Castellani), come Deo, meo. Da notare che V e P riportano la forma in anafonesi (io).

2.
neente:
‘niente’, forma non ancora dissimilata, là dove neiente avrebbe provocato ipermetria; neiente (< ne-gente) è forma tramandata sia in antico senese che in aretino (Rohlfs); apo: 'nei confronti di' - Si intenda: la gioia non (è) niente nei confronti del dolore.

3.
meo:
forma più freq. in L rispetto a mio; cor: parola poetica per eccellenza, sempre senza dittongo; sochorga: tipica resa grafica <-ch-> per la resa della velare sorda, in oscillazione, ad esempio, con <c-> (cfr. v. 4). Prevalgono le scrizioni <ca>, <co>, <cu> su quelle <cha> ecc. - Questi ultimi due versi spiegano e amplificano il paradosso precedente: la gioia provata, seppur ricavata da un dolore, nulla può in confronto al dolore del cuore, al quale solo la morte potrà porre eterno rimedio.

4.
veo: ‘vedo’ (vegio in V) con sincope (cfr. anche vao, presente passim in L). - La sentenza è decisiva: nulla, rispetto a quanto detto fin'ora, può più avere un qualche valore per il poeta.

5.
pò:
‘può’, esito non dittongato (< lat. POTET), pote si oppone alla forma ditt., forse perché sentito come latinismo; noia: dal. provenz. enoja ('noia', ma anche 'tristezza'). - Ritorna la forma chiasmica del primo verso: prima del piacere, la noia ha poco potere.

6. om: ‘uomo’, si può considerare un latinismo (cfr. hom in R). - Si intenda: 'ma dopo (il piacere) ha potere (la noia) di dar tristezza troppo grande a un uomo'. Sebbene forte troppo possa anche concordarsi con tristore, se rispettiamo la sequenza quantitativa sancita da poco, prima, e troppo forte, dopo, gli agg. sarebbero da ricondurre logicamente a noia.

7.
conven:
‘conviene’, mancato ditt. Prevalenza in L di vene  su viene.

8.
ritornator:
'chi si viene a trovare di nuovo in un determinato stato o condizione' (TLIO, la forma è prima e unica attestazione), non sonorizzato (insieme a entrator), a differenza di V e R. - Soprattutto conviene che povertà si conceda a chi viene a trovarsi per la seconda volta in questa situazione, che non a chi è neofita.

9.
Il quindi incipitale riprende il concetto precedente sul topos della povertà: il poeta, che ha già fatto esperienza ed è quindi ritornatore, torna anche in povertà. Adonqu’eo: più freq. la forma senza anafonesi.

10.