La canzone Tutto 'l dolor ch'eo mai portai fu gioia è composta da sette stanze: le prime cinque di 14 versi (13 endecasillabi e 1 settenario) e le ultime due di 6 versi (5 endecasillabi e 1 settenario), che formerebbero la cauda. La canzone è formata da coblas singulars, ma è anche importante notare la presenza di cobals capcaudadas (IV - V) e di coblas capdenals (II - III- V).
1 A B C B A B C B D d E E D E
2 A B C B A B C B D d E E D E
3 A B C B A B C A B b D D B D
4 A B C B A B C B D d E E D E
5 A B C B A B C B D d E E D E
6 A a B B A B
7 A a B B A B
A uno studio più approfondito, possiamo trovare uno schema identico in una canzone di Jacopo Mostacci, A pena pare - ch’io saccia cantare (cfr. REMCI), oltre che, in maniera simile, in un componimento del trovatore Matfré Ermengau (Drechs e natura…): a b c b a b c b d d c (cfr. Répertoire métrique, I. Frank). Lo schema rimico della canzone di Guittone manterrebbe una sua perfezione se non fosse per una ripetizione di rima in -ato (B) che dai pedes si riversa nel sirma della stanza. A tale proposito, Leonardi ha fatto notare la presenza della rima fiore (fore V R) là dove (v. 36) ci si aspetterebbe una rima in -ato, emendata per congettura da Picone in tormentato (isventurato nella Giuntina); dopo la suddetta rima (B), infatti, ci si aspetterebbe un cambio di rima (D), mentre viene ripetuta la rima in -ato, mancata appunto al v. 36.
1.
eo: freq. senza anafonesi normalmente ad Arezzo (Castellani), come Deo, meo. Da notare che V e P riportano la forma in anafonesi (io). - L'incipit è caratterizzato dalla comune e apparentemente paradossale forma dell'amor cortese, che unisce gioia e dolore, euforia e disforia.
2.
neente: ‘niente’, forma non ancora dissimilata, là dove neiente avrebbe provocato ipermetria; neiente (< ne-gente) è forma tramandata sia in antico senese che in aretino (Rohlfs).
3.
meo: forma più freq. in L rispetto a mio; cor: parola poetica per eccellenza, sempre senza dittongo; sochorga: tipica resa grafica <-ch-> per la resa della velare sorda, in oscillazione, ad esempio, con <c-> (cfr. v. 4). Prevalgono le scrizioni <ca>, <co>, <cu> su quelle <cha> ecc. - Questi ultimi due versi spiegano e amplificano il paradosso precedente: la gioia provata, seppur ricavata da un dolore, nulla può in confronto al dolore del cuore, al quale solo la morte potrà porre eterno rimedio.
4.
veo: ‘vedo’ (vegio in V) con sincope (cfr. anche vao, presente passim in L). - La sentenza è decisiva: nulla, rispetto a quanto detto fin'ora, può più avere un qualche valore per il poeta.
5.
pò: ‘può’, esito non dittongato (< lat. POTET), pote si oppone alla forma ditt., forse perché sentito come latinismo; noia: dal. provenz. enoja.