Revisione di Commento del Mar, 15/12/2020 - 23:55

Versione stampabilePDF version
Il periodo della produzione poetica di Raimon de Miraval si sviluppa tra il 1180 e il 1213. Tale attività poetica si trova, dunque, in un arco temporale considerato il più florido della lirica provenzale, che comprende autori come Folquet de Marselha o Peire Vidal. Questo periodo si connota non solo per le abilità che caratterizzano ogni poeta, ma soprattutto per il tentativo di approcciarsi in maniera differente alla tecnica compositiva delle loro opere[1]. Raimon de Miraval si afferma come un autore di un’ampia produzione poetica di cui fanno parte numerose canzoni che esauriscono il loro significato nell’elogio della donna amata. Si produce così una centralità di questo tema che differenzia Raimon de Miraval da altri autori: cantare in lode alla dama era soltanto una delle tante tematiche dei valori cortesi inserite nella lirica trobadorica[2].
Il trovatore era co-signore del castello di Miraval, ma la ricchezza del suo lignaggio aveva perso la sua importanza nel corso del XII secolo. La sua vida, ritrovata nei canzonieri B, I e K (mss. Paris, Bibliothèque nationale, fr. 1592, Paris, Bibliothèque National, fr. 854 e Paris, Bibliothèque nationale, fr. 12473), infatti, lo descrive come un «povero cavaliere», spiegando la necessità di sostare presso ricchi signori, i cui legami sono stati provati. Della sua opera omnia fanno parte trentasette canzoni, cinque sirventesi, uno scambio di coblas e una tenzone. Tra questi componimenti, ventidue canzoni sono state tradite nei mss. Accompagnati con la melodia. Tali canzonieri sono R (Parigi, Bibliothèque nationale, fr. 22543) e (Milano, Biblioteca Ambrosiana, R. 21)[3]. Probabilmente, come afferma Switten, i componimenti accompagnati dalla melodia erano quelli più «popolari» tra i contemporanei del trovatore. Questo criterio escluderebbe, dunque, Trop aun chauzit mei hueill en luoc onriu dalle canzoni più importanti dell’opera di Miraval. Questa canzone è composta da cinque coblas da nove versi ciascuna. Le sue condizioni di trasmissione sembrerebbero confermare la scarsa fama che si presuppone avessero i componimenti di Miraval che sono pervenuti senza accompagnamento musicale. Il testo è stato tramandato attraverso due canzonieri: C (Parigi, Bibliothèque nationale, fr. 856) ed E (Parigi, Bibliothèque nationale fr. 1749), ma soltanto in quest’ultimo il componimento si mostra nella sua interezza. Nel canzoniere C, Trop aun chazit è mutilo delle ultime due coblas e, inoltre, non si presenta come un componimento di Raimon del Miraval, ma scritto da anonimo.
Da tale punto di vista, si potrebbe affermare che la “forma” della canzone si trova in una posizione strutturalmente minoritaria rispetto alla maggior parte delle canzoni di Miraval. Partendo dalla versificazione potremmo notare come Trop aun chauzit si colloca tra le sole nove canzoni composte da coblas di nove versi. Raimon de Miraval predilige simmetria e parallelismo costruendo componimenti da otto versi per cobla. Allo stesso tempo, possiamo notare come nel testo preso in esame anche la scelta nel metro non è sufficientemente comune. Infatti, la presenza di coblas che possiedono unicamente decasyllabe e octosyllabe si rivela solamente con le canzoni Be m’agrada·l bels temps d’estiu (BdT 406,13) e Chansoneta farai vencut (BdT 406,21) e la tenzone Bertran, si fossetz tan gignos (BdT 406,16)[4]. D'altra parte, nei componimenti appena citati, si presenta un maggiore uso dei versi da otto sillabe. Ciò non avviene in Trop aun chauzit: l’octosyllabe è solo uno per cobla.
1-2.
L’esordio viene caratterizzato dalla presenza del senso della vista. Il poeta descrive un’immagine in cui si pone fisicamente lontano dalla donna amata. Allo stesso tempo, il sentimento viene reso esplicito e intenso. Lo sguardo è fisso, in attesa; gli occhi piangono a causa dello sguardo che a lungo si sofferma. Tale esordio centra un elemento importante della poetica di Raimon de Miraval: la dama è sempre vista dal punto di vista del poeta, non è un personaggio completamente caratterizzato. Anche in questo senso, si rileva l’atteggiamento di lontananza. Infatti, il poeta è più intento a parlare di lei, che a farla parlare[5].
3.
Sono presenti due termini centrali della produzione di Miraval: sen e fols. Evidente è il paradosso che viene messo in risalto perché il buon giudizio è una delle cause della follia (d’amore, da intendersi). Sen, in realtà, ha due sviluppi differenti: se legato a figure storiche o alla donna amata, assume il senso di un valore positivo, contrapposto alla follia; ma in altri contesti, come in questo caso, assume l’accezione paradossale di cui viene vestito[6]. Da un punto di vista lessicale e semantico, la canzone non si discosta dal resto dei componimenti. Switten individua i sostantivi e gli aggettivi più utilizzati da Raimon de Miraval. Tale vocabolario si riferisce in particolar modo ai valori e alle qualità proprie della fin’amor, ma anche a termini dispregiativi che contrappongono il bene dell’amore e dei pregi cortesi con il male. Nel testo è possibile individuare tra i termini e le qualità positive sen (v. 3), la variante di cortes, cortezia  (v. 13), valor (v. 23), ben (vv. 23 e 40), gais (v. 33), e l’aggettivo fin (vv. 30, 35 e 43). Tra i termini di accezione negativa, invece, si riscontrano mal, sostantivo adoperato nella canzone con diverse varianti (vv. 10, 18, 39 e 41), engan (v. 24), dan (v. 42) e fals (v. 44). Tali locuzioni sono solo tipiche del linguaggio della poesia d’amore trobadorica, ma sono anche proprie di Miraval stesso[7].
 Que fols e que brius: endiadi.
4-6.
Secondo i canzonieri E e C nell’incipit del quinto verso è tramandato quar. In tal caso, si rileva un’anafora. Per dare un senso maggiore al testo, conviene prendere in considerazione l’emendatio inserito da Topsfield, nella sua edizione critica (cfr. apparato della prima cobla), evidenziando come il vincolo di servitù instaurato con la dama venga messo a paragone con quello tra il servo e il suo signore. Il senso del paragone continua nel sesto. Il padrone non ha mai provato un sentimento d’amore. Si lascia intendere come la donna amata dal poeta non corrisponda il suo sentimento. Si può notare come tale figura retorica inizia nell’ultimo verso del fronte e si conclude nel primo verso della sirma, confermando come l’unico octosyllabe sia l’elemento di congiunzione tra le due parti della cobla, posto perfettamente al centro.
7-8.
In questi versi vengono ribaditi alcuni concetti presenti all’inizio dell’esordio: il poeta si fa sempre più lontano e tale lontananza, sempre più marcata, alimenta la follia. La lontananza non è più solamente figurata, ma è anche fisica. il trovatore predilige delle strutture simmetriche. Tale principio è rispettato anche nel componimento analizzato. Lo schema rimario di Trop aun chauzit è il seguente: abba cddcc.  Fronte e sirma si dimostrano essere alquanto simmetrici[8]. Particolare attenzione va posta al quinto verso delle coblas. Come specificato precedentemente, è l’unico verso composta da otto sillabe. Posto perfettamente al centro, esso divide in due parti ogni singola cobla, formate invece da decasyllabe. Il quinto verso è dunque il punto di collegamento, la chiave, che unifica una strofa, la cui disparità renderebbe la canzone dotata di uno schema asimmetrico. Raimon de Miraval, dunque, utilizza quel verso aggiuntivo. Distinguibile per mezzo del metro differente, per dividere la cobla in parti simmetriche tra loro stesse, per il numero di versi adoperati. A loro volta, i gruppi di rime nelle due parti formano una simmetria interna che rispetta lo stile di Miraval. M.L. Switten parla di una divisione tra fronte e sirma nei componimenti, ponendo però attenzione sulle canzoni composte da otto versi per cobla. In quel caso il fattore di divisione delle due parti risiede nella sintassi e non solo nello schema rimario[9]. Anche l’utilizzo del metro aiuta a individuare velocemente la divisione interna: nella già citata Be m’agrada, ad esempio, lo schema metrico raggruppa i versi da otto sillabe nel fronte e i versi da dieci sillabe nella sirma (a08, b08, c08, d08, e10, f10, g10, h10)[10]. Nel nostro caso, la metrica è altrettanto visibile, ma differente.
9.
L’esordio si conclude con il termine amor, parola che ritorna nella stessa canzone.
10-11.
In questa cobla si intensificano i sentimenti negativi. L’inversione a inizio del decimo rigo, mette in risalto il termine mala, variante di mal, che spesso viene adoperato in contesti differenti. Spesso viene associato e contrapposto al bene; altre volte, il male è legato a un comportamento sbagliato che viola l’etica cortese. In questo caso è associato alla donna amata che, ricordando la cobla precedente, è lontana. Il male associato alla dama rende esplicito il senso del testo perché viene fatta una colpa alla donna che è distante[11].
12-13.
Riferimento al signore e al castello di Montesquiu.
19-22.
Dopo la rappresentazione, tramite connotazioni negative, della dama, la terza cobla in antitesi descrive i valori positivi della donna. Il poeta parla inizialmente della sua bellezza. Successivamente si focalizza sulle virtù: meils d’amor gentius. Ritorna il termine amore.
23-27.
Strettamente legato al concetto d’amore è il sostantivo valor: il valore, come afferma Switten “è applicato più alla dama che all’amante […] rafforza la necessità di distinguere moralmente”. Valor si lega indissolubilmente al termine amor non solo dal punto di vista semantico, ma anche fonetico. La desinenza –or, d’altronde si presenta in tutto il componimento in finale di verso. In particolar modo, in questa cobla, si rafforza l’assonanza anche all’interno del verso (vedi gensor al verso 22 e cors che introduce il verso 23), mettendo in risalto il significato che il poeta vuole esprimere[12].
23-26.
La bellezza che Raimon de Miraval vuole esprimere non è solamente quella legata ai valori, ma è anche quella fisica. Anche la descrizione visiva si rafforza in fine del verso 26 con l’utilizzo del termine blancor.
27.
L’apoteosi del senso di bellezza viene raggiunto nel finale della cobla, con la divinizzazione del sentimento.
33.
Gais è un altro lemma fondamentale. Insieme al termine joi, più che invocare un ideale etico, vuole riflettere una condizione sia fisica e sia mentale legata all’ambito della cortesia. Infatti, il sentimento di felicità è presente nella stessa cobla in cui l’amore viene definito fin (in riferimento a quell’amore che viene definito cortese. Allo stesso tempo, nel verso 33, è presente benanan: tale parola è attestata spesso in Miraval per esprimere un sentimento di felicità o piacere[13].
34-36.
In chiusura della quarta cobla, si assiste al paragone tra il sentimento d’amore dell’io poetico e il sentimento d’amore di Tristano. L’io poetico paragona l’amore provato per la sua donna, a quello che l’eroe del romanzo provava per la sua amata, Isotta. La tradizione tristaniana è vasta e complessa. Le due versioni più conosciute in francese antico sono il Tristan di Béroul, inserito nel gruppo della “versione comune” e il Tristan di Thomas inserito nel gruppo della “versione cortese”. Nel confronto tra romanzi e letteratura trobadorica, la versione di Thomas è quella che si presta maggiormente e facilmente. Non a caso tale versione è detta anche “lirica”[14]. Thomas favorisce infatti i tratti cortesi invece degli elementi epici che caratterizzano il romanzo di Béroul. In questo senso, possiamo notare come la fin‘amor sia l’elemento di unificazione che spiegherebbe l’avvicinamento di una particolare tradizione di romanzi con la lirica non solo trobadorica ma anche trovierica. Chrétien de Troyes, infatti, in una sua canzone, D‘Amors qui m‘a tolu a moi, nomina il personaggio Tristano, anche se in questo caso si ipotizza possa essere un senhal riferito a Raimbaut d’Aurenga, affibbiato originariamente dal trovatore Bernart de Ventadorn[15]. Nel caso di Raimon de Miraval non si tratta di un senhal, ma di un riferimento a quella tradizione romanzesca e mitica, che non è utilizzato solamente da quei trovatori cronologicamente posti nei “tempi d’oro” della poesia occitanica, ma anche da coloro che sono appartenenti alle prime generazioni. Cercamon, ad esempio, con Ab lo pascor/ m’es bel qu’eu chan (BdT 112,1a), si dimostra essere uno dei primi poeti che conoscono le vicende dei romanzi[16]. Dunque, la diffusione alla menzione dell’amore di Tristano e Isotta è molto vasta. Miraval stesso non si limita a paragonarsi all’eroe in Trop aun chauzit, ma anche in Be m’agrada (sesta cobla). La similitudine è posta in un’accezione analoga, ma con alcune lievi differenze. Nel primo caso, i sentimenti dell’io poetico sono più intensi di quelli di Tristano. Egli e più felice. Questa felicità è legata principalmente al fatto che la donna di cui il poeta è innamorato sia migliore della donna amata da Tristano. Nel secondo caso il poeta fa riferimento a un patto d’amore, a una promessa di servitù e di obbedienza alla donna amata, così come aveva fatto Tristano[17].
40-42.
Il termine ben entra in contrapposizione con dan. Spesso fa riferimento al bene che il poeta può dare o ricevere. Associato ad altre qualità, può offrire vantaggi e ricompense[18].
44.
Fals lauzenjador: i maldicenti, sono delle figure, molto usate nella lirica trobadorica, messi spesso in contrapposizione alla figura dell’eroe-amante.
 
[1] C. Di Girolamo, I trovatori, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 198.
[2] M.L. Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. Ricezione e riuso dei testi lirici cortesi fino al XIV secolo, Einaudi, Torino, 1984, p. 180.
[3] M.L. Switten, The cansos of Raimon de Miraval: A study of poems and melodies, The Medieval Academy of America, Cambridge, Massachussets, 1985, p. 2.
[4] Idem, p. 44.
[5] M.L. Switten, op. cit., p. 76.
[6] Idem, p. 74.
[7] Idem, pp. 69-75.
[8] Idem, pp. 45-46.
[9] Idem, p. 55.
[10] L. Topsfield, Les poesies du trobadour Raimon de Miraval, Nizet, Parigi, 1971, pp. 129-134.
[11] M.L. Switten, op. cit.,  p. 75.
[12] Idem, p. 73.
[13] Idem, p. 71-78.
[14] Thomas, Tristano e Isotta, F. Gambino (a cura di), Mucchi Editore, Modena, 2014, pp. 6-7.
[15] cfr. C. Di Girolamo, op.cit., p. 134. M. Delbouille, Les senhals littéraires désignantRaimbaut d’Orange et la chronologie de ce témonhages, in «Cultura Neolatina», 17 (1957). L. Rossi, Chrétien de Troyes e i trovatori: Tristan, Linaure, Carestia, in «Vox Romanica», 46 (1987). Idem, Carestia, Tristan, les troubadours et le modéle de saint Paul: encore su D’Amors qui m’a tolu a moi (RS 1664), in Covergences médiévales. Epopée, lyrique roman, N. Henrand, P. Moreno, M. Thiry-Stassin (a cura di), De Boek, 2001.
[16] Cercamon, Oeuvre poétique, L. Rossi (a cura di), Honoré, champion, Paris, 2009, pp. 79-92. Cfr. Anche nota 38 di Idem, Il trovatore Cercamon,  V. Tortoreto (a cura di), S.T.E.M, Modena, 1981, p. 149. Tortoreto, in questo caso, non ritiene che il componimento faccia riferimento alla tradizione tristaniana. Infatti traduce et ai·n encor lo cor tristan in “e ne ho ancora il cuore rattristato”, evidenziando il termine tristan come un semplice aggettivo.
[17] L.T. Topsfield, op. cit., p. 126.
[18] M.L. Switten, op. cit., p. 73.