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I |
Lamia uita poi sanza comfortto. forzatamente omisa jmdisperanza. p(er) che pieta nza non mi uale cherere. tante logrande martiro chedio portto. congnal tra cosa rengno dere. Pemsando chio fui rico oltre misura. eportai gioia comaltro amadore. poi partio condolore. elalegranzamitorna jnranchura. diuoi gientile mia donna fui gaudente. epresi frutto jnuostra dengnitate. edora uer niquitate. senza ofensione di farmene p(er)dente. |
La mia vita, poi sanza comfortto, forzatamente o misa jm disperanza, perché pietanza non mi vale cherere; tantʹè lo grande martiro ched io portto cʹognʹaltra cosa rengno jn obrïanza, ed jn crudele pesanza raddoppio meo podere, pemsando chʹio fui rico oltre misura e portai gioia comʹaltro amadore, poi partio con dolore e lʹalegranza mi torna jn ranchura; di voi, gientile mia donna, fui gaudente e presi frutto jn vostra dengnitate: ed ora ver niquitate senza ofensione di farmene perdente. |
II |
P(er)dente nongia p(er)mia comessione. nomfui diuoi nedessere nomporia. chetuta uia. diquantio ualesse. nomsia di uoi afarui subezione. disiderando souente ladia. chauostra sengnoria. lome seruire piaciesse. Comio sollea lasso doloroso. prendere partte deluostro rengno. piu chio nonera dengno. sio uichapesse ancora saria gioio so. p(er)cio magiore dolore degio(4) portare. perdere lacosa chagio posseduta. chesio nolauesse auuta. seria danno mano sidablasmare. |
Perdente, non già per mia comessïone nom fui di voi; nèd essere nom poria che tutavïa di quantʹio valesse, nom sia di voi, a farvi subezione, disiderando sovente la dia chʹa vostra sengnoria lo meʹ servire piaciesse. Comʹio sollëa, lasso doloroso, prendere partte de l vostro rengno più chʹio non era dengno! Sʹio vi chapesse ancora, saria gioioso. Perciò magiore dolore degio portare, perdere la cosa chʹagio posseduta, che sʹio no lʹavesse avuta: seria danno, ma no sì da blasmare. |
III |
Sjo blassimo auesse gia p(er) mio follore. nonmi doria dicio chemincontrasse. esio merze chiamasse. p(er)dere nedoueria proua. poi chio nomsia maleale seruido re. nomseria fallo sio pieta trouasse. eame sadumiliasse. il uostro core edamerze simuoua. Sella nauera elvsuo(1) ritenete. delloleone quande piu adirato. che[to]rna(2) umiliato. achi merze lichiere uoi il sauete. eio nomfino uoi merze cherendo[ue].(3) eporia sucitare duna colglienza. diuoi me compiagienza. poi fineria lo mio dolore seruendo. |
Sʹjo blassimo avesse già per mio follore, non mi doria di ciò che mʹincontrasse, e sʹio merzé chiamasse, perdere ne doveria prova; poi chʹio nom sia maleale servidore nom seria fallo sʹio pietà trovasse e a me sʹadumilïasse il vostro core ed a merzé si muova, se˙lla navera e lʹusuo ritenete dello leone quandʹè più adirato, che [to]rna umilïato a chi merzé li chiere, voi il savete. E io nom fino voi merzé cherendo[ue] e poria suscitare dʹunʹacolglienza di voi meco ʹm piagienza, poi fineria lo mio dolore servendo. |
IV |
Seruendo fineria gia lamia dolglia. elo penare misaria alegranza. sedio sauere ciertanza. potesse delofesa. laquale nomfeci enomsaria mia uolglia. ma piacie tanto auostra gientileza. dime dare agresteza. chio sto contento none fo difesa. Elluso delseghuscio uolglio seguire. quando ilsengnore lobatte piu co ciente. selchiama dipresente. etorna e mette jngioia lolanguire. setale manera ame tenere nonuale. conuene ame stesso esere nemico. poi chio nontruouo omoamico. dele mie mani saron(n)ne micidiale. |
Servendo fineria già la mia dolglia e lo penare mi saria alegranza, sed io savere ciertanza potesse de lʹofesa, la quale nom feci, e nom saria mia volglia: ma piacie tanto a vostra gientileza di me dare agresteza, chʹio sto contento, no ne fo difesa; e˙llʹuso del seghuscio volglio seguire: quando il segnore lo batte più cociente, se ʹl chiama, di presente eʹ torna, e mette jn gioia lo languire; se tale manera a me tenere non vale, convene a me stesso esere nemico: poi chʹio non truovo omo amico de le mie mani sarònne micidiale. |
V |
Aime lasso chedira lagiente. selauostra belleza edispietata. sera p(er)me blasmata. abi endo presgio dicrudalitate. djpo ssere dannata. p(er)cio sia acomandata. auoi chauete jncio lal lpulichano diuene. chesucita lisuo filgli dimortte. eciertto nolglie fortte. mafugie il suo dolore engioia riuene. cosi poreste surgiere eamendare. lamortte elfallo esaria vi legiero. sep(er)lo mio preghero. doueste solo unora |
Aïmè lasso, che dirà la giente, se la vostra belleza è dispietata? Serà per me blasmata, abiendo presgio, di crudalitate. Djpo la mortte, l’arma mia dolente di ciò si crederà mia dolente di ciò si crederà essere dannata: perciò sia acomandata a voi, chʹavete jn ciò la ljbertate: chʹiʹ odo dire chʹal pulichano divene che suscita li suo filgli di mortte, e ciertto no lgli è fortte, ma fugie il suo dolore eʹn gioia rivene: così poreste surgiere e amendare la morte e ʹl fallo, e sariavi legiero, se per lo mio preghero doveste solo unʹora adumiliare. |
NOTE:
1) In V, v corregge una lettera scritta in precedenza che non si distingue.
2) In V, la quarta e la quinta lettera della lezione sono quasi totalmente illegibili. A testo si è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: che[to]rna.
3) In V, le ultime due lettere sono quasi illeggibili, A testo di è proceduto inserendo una possibile ipotesi di lettura tenendo conto anche del contesto generale: cherendo[ue].
4) In V, g corregge una lettera scritta in precedenza che non si distingue.
5) In V, djpoi corregge dapoi