Lirica Medievale Romanza
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Jolivetés et jonece

Repertori: Linker 52,4; RS 484; MW 1088-1 (1879)
Mss: a  98v
Edizioni: Goffin 1999
Schema metrico: 7' 5 , 7' 5 ;  5 5    7 5 7 5'
                                                         8 5 6 5' 
Schema rimico:   a  b   a  b    b c    c d d e
Musica: Tischler 278
Attribuzione: Cuvelier d'Arras

 

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Testo e traduzione

Testo Traduzione
I I
Jolivetés et jonece
et Amours ausi
me font canter sans perece
con loial ami
et rekier merchi,
ma dame en cantant,
car mestier en ai si grant 
que jou criem morir,           
mais mieus aim ces maus sousfrir
que d'amer recroie.
Gioia e giovinezza 
e anche Amore 
mi fanno cantare senza posa
come amico fedele,
e chiedo grazia,     
cantando alla mia dama,
perché ne ho così gran bisogno
che ho paura di morire,
ma amo più patire queste pene
che non rinunciare ad amare.
II II
Dame de tres grant hauteche
plus que jou ne di,
se pités en vous n'adrece
dont m'ont bien traï
mi oel, dont je vi
vo cors l'avenant.
Las, je vois cou desirant
dont ne puis joïr, 
n'Amours ne veut consentir
que d'amer recroie.
Dama di grande pregio,
più di quanto io non dica,
se in voi non alberga pietà
allora mi hanno tradito
i miei occhi, con i quali vidi
il vostro corpo avvenente.
Infelice, vedo, desiderandolo, ciò
di cui non posso godere,
né amore vuole acconsentire
a che rinunci ad amare.
III III
Bien sai que de ma tristece 
sont bien esjoï
felon plain de male teche,
d'envie garni;
trop m'ont assailli
felon mesdisant,
mais ja ne mi saront tant 
grever par mentir,
n'envers ma dame nuisir,
que d'amer recroie.
So bene che della mia tristezza
si rallegrano molto
i maligni pieni di malizia,
e ricolmi d'invidia;
molto mi hanno aggredito
i felloni maldicenti,
ma mai sapranno tanto
colpirmi con le menzogne,
né nuocere alla mia dama,
al punto che mi penta di amare.
IV IV
Fole gent plaine d'outraie,
ja pour vo jengler 
ne lairai mon bon usaie
de ma dame amer;
je l'aim sans ghiller
et sans remouvoir.
Or li doint Dius percevoir
cou: q'en sa prison
l'aim mieus servir en pardon
que d'amer recroie.
Gente folle e piena di arroganza,
mai per le vostre maldicenze
lascerò il buon uso
di amare la mia dama;
l'amo senza inganno
e senza esitazioni.
Che Dio faccia si che ella si accorga
di ciò: che, suo prigioniero,
preferisco servirla gratuitamente
che rinunciare ad amare.
V V
Dame ki j'ai fait houmaje,
voeillies me douner 
joie sans vestre arieraie;
car li maus d'amer
ne m'i laist durer 
tant me fait doloir.
Et s'aim trop mieus a veoir
ma destruicion 
que faire tel desraison
que d'amer recroie.
Dama a cui rendo omaggio,
vogliate concedermi la gioia
senza il vostro diniego;
che il male d'amore
non riesco a sopportare,                              
tanto mi fa soffrire.
E se amo, tanto meglio è vedere      
la mia distruzione  
che compiere cotanto errore
di rinunciare ad amare.
VI VI
[?]oir faic de mon cant recevoir
et par ma cançon
di qu'il n'ait entencion
que d'amer recroie.
Faccio di [?]oir il mio destinatario, 
e con la mia canzone
gli dico che non abbia desiderio                      
di rinunciare all'amore.
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Commento

   Chanson à refrain di 5 stanze con invio, composta da coblas ternas e doblas di 10 versi ciascuna, suddivisione strofica piuttosto diffusa nelle canzoni di cinque stanze (cfr. Dragonetti p. 447). Una rima b eccedente funge da transizione tra pedes a rima incatenata e cauda a rima baciata. Lo schema rimico si completa con una quinta rima estramp - per cui cfr. Leys d'Amors, p. 98 - del réfrain.
   L'invio riprende lo schema rimico degli ultimi quattro versi delle coblas doblas, ma con il primo verso presenta 8 sillabe. L'irregolarità è probabilmente dovuta a qualche forma di corruzione del testo in quella sede, che presenta anche problemi interpretativi; è utile ricordare, d'altra parte, che l'invio è un elemento del testo particolarmente suscettibile di interpolazioni o aggiunte posticce.
  Lo schema rimico è unico nel corpus trovierico; va comunque segnalato  che, escludendo la rima fissa del refrain, la base dello schema (ababbbccdd, MW 1079) è  attestata invece in ben 57 liriche, la netta maggioranza delle quali (40 ca.) vi abbinano strofi totalmente o in gran parte formate da decasillabi; tra le restanti formule a base ottosillabica o eptasillabica, uno schema sillabico coincidente con quello della presente liricaricorre in un canto anonimo (MW 1856).       Molti dei componimenti in cui viene impiegato lo schema rimico sono jeux-partis; tra gli autori che lo utilizzano, figurano Jehan Bretel,  Thibaut de Champagne, Colart le Bouteillier, Thierri de Soissons,  Perrin d'Angecourt, Adam de la Halle, Carasau, Jehan de Renti, Oede la Courroerie, Raoul de Soissons, Chastelain de Coucy e Hue de la Ferté.

  ***
   Unico caso di chanson à réfrain del canzoniere, la lirica si distingue per l'andamento vivace risultante dalla combinazione di uno schema metrico variegato con un'alternanza tra timbri medi o aperti e timbri acuti delle rime, in particolare - i(r), - ant, dove la vocale acuta si alterna con una aperta, ma attenuata ed oscurata dalla nasalizzazione; secondo Dragonetti, p. 424, esiste, in effetti, 'un type d'alternance vocalique que les trouvères ont particulièrment recherché: notamment la succession de deux timbres dont l'un est aigu, grave ou claire , l'autre (procédent de l'éclatant a) est comme voilé par la nasalisation -an.'. La breve estensione che caratterizza la maggioranza dei versi (5 sillabe) rende spesso necessario il ricorso all'enjambement e, dunque, la tenenza alla frammentazione siintattica, per cui si osservino in particolare i vv. 14-16, vv. 27-28, vv. 37-38, vv. 42-43. Gli eptasillabi ospitano invece  frasi più ampie e, per lo più, sintatticamente autonome, nelle quali il poeta esprime le idee base della strofe.
   La strofe I si apre con la tradizionale enunciazione del 'movente' del canto, caposaldo della retorica esordiale, che affonda le sue origini nell'arte oratoria antica, dove prendeva il nome di propositio. Si è notato come jonece, con amours una delle parole-chiave del lessico della lirica cortese, sia un termine peculiare dei trovieri del circolo di Arras. Nonostante l'Artois sia la reegione francese che ospita il gruppo di poeti più nutrito, la preponderanza delle occorrenze di jolivetés in opere artesiane non è un dato meramente statistico, quanto, piuttosto, la conferma che nel Puy d'Arras, il canto cortese riceva una sua particolare declinazione, dovuta alla progressiva selezione di certi termini e modi, alla preferenza per certe costruzioni sintattiche rispetto ad altre. La soggettività creativa del poeta è dunque fortemente modellata sugli usi e gli automatismi linguistici dell'ambiente in cui quotidianamente si trova immerso, 
Un verso breve chiude metricamente la fronte, ma apre il tema  sviluppato nella cauda, ossia la preghiera vera e propria alla dama. Il refrain  costituisce lo scioglimento ritmico ed emotivo della strofe,  in cui si concentra il motivo portante della canzone: il rifiuto della recreantise d'amore.
   Nella seconda strofe, come nelle successive, il troviero è meno vincolato dai formalismi imposti propri dell'esordio; può dunque sfruttare con più efficacia  gli effetti derivanti dalla sovrapposizione e l'intersezione tra la naturale prosodia del discorso ed il ritmo scandito dallo schema metrico. I nodi semantici sono dislocati all'interno degli eptasillabi, mentre i pentasillabi ospitano frammenti di frasi subordinate che fanno loro da corollario: la lode della dama è tutta racchiusa infatti nel primo verso; la frase plus que jou ne di (v. 12) non è che accessoria al discorso; il poeta richiama poi il motivo della pietà della dama, cui riallaccia un'altra topica tradizionale, quello degli occhi personificati, che si dispiega poi subito dopo, nella sequenza dei tre versi brevi, con un andamento discorsivo frammentato che procede per enjambement. Il poeta prosegue insistendo sul tema del desiderio pertinace verso l'amata, delle cui grazie, per definizione, non gli è dato di godere e che permane, al contempo, intrappolato dall'amore nella paradossale situazione di non poter ricusare l'amore stesso.
   Come di consueto, i motivi panegirici richiamano il tema dei losengiers, come una sorta di contrappunto. Nella strofe IV continua l'invettiva rivolta ai maligni avversari sotto forma di apostrofe, seguita ancora dalla dichiarazione di orgogliosa fedeltà all'amore per la dama. 
    L'apostrofe ai losengier è interrotta al v. 37 dalla deprecazione retorica rivolta a Dio.          Le dichiarazioni di fedeltà ad ogni costo, quindi en pardon (v. 39), di volontà di servire la dama anche in condizioni svantaggiose  e senza ottenere nulla in cambio e la menzione dell'houmaje al v. 41 della strofe successiva, ricordano quanto, del vocabolario e delle figure della lirica cortese, provenga dal  grande bacino delle metafore  feudali e come il rapporto amante/domina sia ad esso improntato nell'immaginario letterario cortese.
    Nella quinta strofe Cuvelier formula la vera e propria requise amorosa, apostrofando la dama. Come di consueto, la richiesta di grazia alla dama è accompagnata dalla preoccupazione che ciò la danneggi, secondo l'etica amorosa  per cui pregare, o anche solo amare una donna di alto rango costituisce, in sé, un atto temerario e potenzialmente oltraggioso. La strofe costituisce una sorta di variazione in apostrofe della prima: in entrambe c'è la richiesta della grazia e della pietà della donna, in entrambe torna il tema di una sofferenza amorosa insostenibile; in entrambe, infine, l'affermazione autolesionistica di preferire la sofferenza alla recreantise d'amore.
   Come molte canzoni cortesi, il componimento termina con l'invio, in cui viene ripreso lo schema rimico e metrico degli ultimi quattro versi dell'ultima strofe, eccetto il v. 51, ottosillabo (vd. supra). In questo caso l'envoi è congegnato in modo tale che l'ultimo verso, corrispondente all'ultima occorrenza del refrain, costituisca il cuore della raccomandazione stessa.

 

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Tradizione manoscritta

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CANZONIERE a

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Riproduzione fotografica

[c. 98v]
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Edizione diplomatica

[c. 98vA]
Ioliuetes (et) jonenece  (et) am(our)s 
ausi me font canter sans pe
rece con loial ami (et) rekier
merchi madame encantant
car mestier en ai si grant q(ue)
jou criem morir mais mieus
aim ces maus sousfrir q(ue)dam(er)
recroie
Dame detres grant hauteche
plus q(ue)joune di sepites env(ou)s 
nadrece dont mont bien trai 
mi oel dont jeui vo cors laue 

[c. 98vB]

nant las jeuois coudesirant
dont ne puis joir namours
ne ueut consentir q(ue)damer re
croie
Bien sai q(ue) dema tristece sont 
bien es joi felon plain demale 
teche denuie garni trop mont 
assailli felon mes disant mais
janemi saront tant greuer
par mentir nenuers madame 
nuisir q(ue) damer recroie
F ole gent plaine doutraie
ja pour uo jengler ne lairai
mon bon usaie dema dame a
mer jelaim sans ghiller (et)
sans remouuoir or li doint dix
perceuoir cou qen sa prison lai(m) 
mieus seruir en pardon q(ue)dam(er)
recroie
Dame ki jai fait houmaie
uoeilliesme douner joie sans 
u(estr)re arieraie car li maus dam(ours)
nemi laist durer tant me
fait doloir (et) saim trop mieus 
aueoir ma destruicion q(ue) faire 
tel desraison q(ue) damer recroie 
    oir faic demon cant rece
uoir (et) par ma cancon di q(ui)lnait 
entencion q(ue)damer recroie 
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Edizione diplomatico-interpretativa

I

Ioliuetes (et) jonenece  (et) am(our)s 
ausi me font canter sans pe
rece con loial ami (et) rekier
merchi madame encantant
car mestier en ai si grant q(ue)
jou criem morir mais mieus
aim ces maus sousfrir q(ue)dam(er)
recroie

 

Jolivetés et jonece                                   
et Amours ausi 
me font canter sans perece
con loial ami                                            
et rekier merchi,                                     
ma dame en cantant,
car mestier en ai si grant                          
que jou criem morir,                        
mais mieus aim ces maus sousfrir 
que d'amer recroie.                                                            
 
II

Dame detres grant hauteche
plus q(ue)joune di sepites env(ou)s 
nadrece dont mont bien trai 
mi oel dont jeui vo cors laue 
nant las jeuois coudesirant
dont ne puis joir namours
ne ueut consentir q(ue)damer re
croie

Dame de tres grant hauteche
plus que jou ne di,
se pités en vous n'adrece                          
dont m'ont bien traï
mi oel, dont je vi                                    
vo cors l'avenant.                                    
Las, je vois çou desirant
dont ne puis joïr, 
n'amours ne veut consentir                       
que d'amer recroie.                                
III
Bien sai q(ue) dema tristece sont 
bien es joi felon plain demale 
teche denuie garni trop mont 
assailli felon mes disant mais
janemi saront tant greuer
par mentir nenuers madame 
nuisir q(ue) damer recroie
Bien sai que de ma tristece 
sont bien esjoï                                  
felon plain de male teche,
d'envie garni;
trop m'ont assailli                                     
felon mesdisant,
mais ja ne mi saront tant 
grever par mentir,                                     
n'envers ma dame nuisir,
que d'amer recroie.                               
IV
F ole gent plaine doutraje
ja pour uo jengler ne lairai
mon bon usaje dema dame a
mer jelaim sans ghiller (et)
sans remouuoir or li doint dix
perceuoir cou qen sa prison lai(m) 
mieus seruir en pardon q(ue)dam(er)
recroie
Fole gent plaine d'outraje,                       
ja pour vo jengler 
ne lairai mon bon usaie
de ma dame amer;                                    
je l'aim sans ghiller                               
et sans remouvoir.
Or li doint Dix percevoir                       
çou: q'en sa prison 
l'aim mieus servir en pardon 
que d'amer recroie.                                  
V
Dame ki jai fait houmaie
uoeilliesme douner joie sans 
u(estr)re arieraie car li maus dam(ours)
nemi laist durer tant me
fait doloir (et) saim trop mieus 
aueoir ma destruicion q(ue) faire 
tel desraison q(ue) damer recroie 
Dame ki j'ai fait houmaje,
voeilliés me douner 
joie sans vestre arieraje;                      
car li maus d'amer - ne m'i laist durer - tant me fait doloïr.
Et s'aim trop mieus aveoir
ma destruicion 
que faire tel desraison                              
que d'amer recroie.
VI
oir faic demon cant rece
uoir (et) par ma cancon di q(ui)lnait 
entencion q(ue)damer recroie 
oir faic de mon cant recevoir
et par ma cançon                                     
di qu'il n'ait entencion 
que d'amer recroie.
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