Lirica Medievale Romanza
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Trop aun chauzit mei hueill en luec onriu

BdT 406,45
Mss.: 
C 384v (anon.) solo le prime tre coblas, E 36 (Raimon de Miraval). 
Metrica: a10, b10’, c10, d10’, e08, f10, g10, h10, i10. Cinque coblas unissonans di nove versi ciascuna.  
Rime: a, c: -iu, b, d: -ia, e, h, i: -or, f, g: -an. 
Mots tornats: vv.9, 27: amor.  
Edizione precedente: L.T. Topsfield, 1971, p. 355.
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Testo e traduzione

Ed.: Priore 2020 [1]

  I
 
  Trop 
aun chauzit mei hueill en luec onriu  
  per que no·m planh si·s ploron en fadia,  
  e·l cor e·l sen faun que fols e que brius 
  quar atendon tan rica senhoria  
  com cel qui ser a ric senhor                
  don no consec neus amoros semblan;  
  per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan,  
  bona dona, e si dic gran folor, 
  qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor.
 
I miei occhi hanno molto scorto in questo luogo distinto, per questo non mi lamento se essi piangono nella vana attesa, e il cuore e il buon senso mi rendono un triste pazzo perché attendono a lungo una nobile signora come colui che serve a un ricco signore, il quale non si dedica ancora all’aspetto amoroso; perché così io dopo me ne andrò da voi lontano, buona donna, così direi che non può essere una grande pazzia, tanto l’amore mi è sincero. 
 
     II
  Mala fui anc cel jorn tant esforsius                
  c’a vos retrai l’amor qu’encar m’abruia,  
  aqui meteis establis Montesquiu,  
  un fort castel qu’es caps de cortezia,  
  et anc no fo guerra pejor 
  que nueit e jorn me faitz estar veillan.               Consi·us pogues sivals plazer d’aitan    
  com m’era vis que fezes ans de cel jorn  
  que mala·us dic celadamen mon cor. 
 
Io fui arrabbiato quel giorno tanto violento perché si ritrasse dall’amore che già mi fece scappare in questo luogo in cui lo stesso Montesquiu fortificò un solido castello, il quale è un atto di cortesia, che ancora non feci guerra peggiore tanto che di notte e di giorno mi faceva restare sveglio. Così voi poteste almeno piacere da tanto in modo che ancora mi vedesse che divenga prima di quel giorno che il male parli segretamente al mio cuore. 
 
   III
  No·m meravill si·m faitz estar pensiu  
  la vostra grans beutatz, ma bel’amia,       
  qu’entre·ls meillors e·s meils d’amor gentius 
  vos eleion tug per la gensor que sia·l 
  cors ben fait ab gran valor,  
  hueils e boca plazens ses tot enguan,  
  blancas mas cabeill saur benestan,                 
  de sos bels pes no·m tanh dir la blancor  
  quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tant d’amor.
 
Non mi meraviglia se la vostra gran bellezza mi rende pensieroso, mia bella amica, che tra i migliori e il meglio degli amori nobili, vi eleggiamo del tutto come la più gentile, che esista il cuore ben fatto per il gran valore, gli occhi e la bocca piacciono senza troppo inganno, i biondi ed eleganti capelli sono ormai bianchi, del suo bel peso non mi conviene parlare, perché mai vide il candore, né Dio mi diede tanto amore. 
 
   IV 
  D’estre d’amor, dona, mort mais que viu 
  vos clam merce: no voillatz que m’ausia 
  la fin’amor que m’art plus d’un caliu             
  per vos qu’ieu am e dezir nueit e dia.  
  Aib sol un bais de secor  
  seri’eu gais e d’amor benanan  
  plus que no fo per s’amia Tristan 
  ni nuill autre plus fin amador,                      
  quar part totas es ma dona meillor. 
 
Quanto alla natura dell’amore, oh donna, il morto più che il vivo vi chiede pietà: non voglia che la fin’amor mi uccida, che mi bruci più di un fuoco per voi che amo e desidero notte e giorno. Per un solo bacio di soccorso io sono felice e allegro d’amore più di quanto non lo fu Tristano per la sua amante, né più di nessun altro amante cortese, perché più di tutte la mia donna è migliore. 
 
  V
 
  A! Car no fui 
del vostre parentiu  
  per tal que·us vis e·us baizes tota via!  
  C’aisi for ieu d’est maltrait en fieu 
  de ben amar qu’estiers sai qu’es folia;              c’ades me dobla·l mal en plor  
  car no·m aus vezer vos qui·m datz ben e dan.  
  Ni·us aus servir com deu far fin aman 
  tal temor ai que·ill, fals lauzenjador, 
  pero si·us platz vos siatz contra lor.  
 
Ah! Io non appartenevo alla vostra famiglia poiché così io vi veda e vi baci per tutta la vita!  Perché in questo modo a parte me che dal ben amare ho sofferto nel feudo, che diversamente so che è una pazzia; perché sempre si moltiplica il male nel pianto che non mi fa vedere voi che mi date il bene e il male, né mi fa servirvi come dovrebbe fare un gentile amante. Ho una tale paura per loro, i falsi maldicenti, pertanto se per voi è un piacere siate contro di loro.
 
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Commento

 
Il periodo della produzione poetica di Raimon de Miraval si sviluppa tra il 1180 e il 1213. Tale attività poetica si trova, dunque, in un arco temporale considerato il più florido della lirica provenzale, che comprende autori come Folquet de Marselha o Peire Vidal. Questo periodo si connota non solo per le abilità che caratterizzano ogni poeta, ma soprattutto per il tentativo di approcciarsi in maniera differente alla tecnica compositiva delle loro opere[1]. Raimon de Miraval si afferma come un autore di un’ampia produzione poetica di cui fanno parte numerose canzoni che esauriscono il loro significato nell’elogio della donna amata. Si produce così una centralità di questo tema che differenzia Raimon de Miraval da altri autori: cantare in lode alla dama era soltanto una delle tante tematiche dei valori cortesi inserite nella lirica trobadorica[2].
Il trovatore era co-signore del castello di Miraval, ma la ricchezza del suo lignaggio aveva perso la sua importanza nel corso del XII secolo. La sua vida, ritrovata nei canzonieri B, I e K (mss. Paris, Bibliothèque nationale, fr. 1592, Paris, Bibliothèque National, fr. 854 e Paris, Bibliothèque nationale, fr. 12473), infatti, lo descrive come un «povero cavaliere», spiegando la necessità di sostare presso ricchi signori, i cui legami sono stati provati. Della sua opera omnia fanno parte trentasette canzoni, cinque sirventesi, uno scambio di coblas e una tenzone. Tra questi componimenti, ventidue canzoni sono state tradite nei mss. Accompagnati con la melodia. Tali canzonieri sono R (Parigi, Bibliothèque nationale, fr. 22543) e (Milano, Biblioteca Ambrosiana, R. 21)[3]. Probabilmente, come afferma Switten, i componimenti accompagnati dalla melodia erano quelli più «popolari» tra i contemporanei del trovatore. Questo criterio escluderebbe, dunque, Trop aun chauzit mei hueill en luoc onriu dalle canzoni più importanti dell’opera di Miraval. Questa canzone è composta da cinque coblas da nove versi ciascuna. Le sue condizioni di trasmissione sembrerebbero confermare la scarsa fama che si presuppone avessero i componimenti di Miraval che sono pervenuti senza accompagnamento musicale. Il testo è stato tramandato attraverso due canzonieri: C (Parigi, Bibliothèque nationale, fr. 856) ed E (Parigi, Bibliothèque nationale fr. 1749), ma soltanto in quest’ultimo il componimento si mostra nella sua interezza. Nel canzoniere C, Trop aun chazit è mutilo delle ultime due coblas e, inoltre, non si presenta come un componimento di Raimon del Miraval, ma scritto da anonimo.

Da tale punto di vista, si potrebbe affermare che la “forma” della canzone si trova in una posizione strutturalmente minoritaria rispetto alla maggior parte delle canzoni di Miraval. Partendo dalla versificazione potremmo notare come Trop aun chauzit si colloca tra le sole nove canzoni composte da coblas di nove versi. Raimon de Miraval predilige simmetria e parallelismo costruendo componimenti da otto versi per cobla. Allo stesso tempo, possiamo notare come nel testo preso in esame anche la scelta nel metro non è sufficientemente comune. Infatti, la presenza di coblas che possiedono unicamente decasyllabe e octosyllabe si rivela solamente con le canzoni Be m’agrada·l bels temps d’estiu (BdT 406,13) e Chansoneta farai vencut (BdT 406,21) e la tenzone Bertran, si fossetz tan gignos (BdT 406,16)[4]. D'altra parte, nei componimenti appena citati, si presenta un maggiore uso dei versi da otto sillabe. Ciò non avviene in Trop aun chauzit: l’octosyllabe è solo uno per cobla.

 

1-2.
L’esordio viene caratterizzato dalla presenza del senso della vista. Il poeta descrive un’immagine in cui si pone fisicamente lontano dalla donna amata. Allo stesso tempo, il sentimento viene reso esplicito e intenso. Lo sguardo è fisso, in attesa; gli occhi piangono a causa dello sguardo che a lungo si sofferma. Tale esordio centra un elemento importante della poetica di Raimon de Miraval: la dama è sempre vista dal punto di vista del poeta, non è un personaggio completamente caratterizzato. Anche in questo senso, si rileva l’atteggiamento di lontananza. Infatti, il poeta è più intento a parlare di lei, che a farla parlare[5].
3.
Sono presenti due termini centrali della produzione di Miraval: sen e fols. Evidente è il paradosso che viene messo in risalto perché il buon giudizio è una delle cause della follia (d’amore, da intendersi). Sen, in realtà, ha due sviluppi differenti: se legato a figure storiche o alla donna amata, assume il senso di un valore positivo, contrapposto alla follia; ma in altri contesti, come in questo caso, assume l’accezione paradossale di cui viene vestito[6]. Da un punto di vista lessicale e semantico, la canzone non si discosta dal resto dei componimenti. Switten individua i sostantivi e gli aggettivi più utilizzati da Raimon de Miraval. Tale vocabolario si riferisce in particolar modo ai valori e alle qualità proprie della fin’amor, ma anche a termini dispregiativi che contrappongono il bene dell’amore e dei pregi cortesi con il male. Nel testo è possibile individuare tra i termini e le qualità positive sen (v. 3), la variante di cortes, cortezia  (v. 13), valor (v. 23), ben (vv. 23 e 40), gais (v. 33), e l’aggettivo fin (vv. 30, 35 e 43). Tra i termini di accezione negativa, invece, si riscontrano mal, sostantivo adoperato nella canzone con diverse varianti (vv. 10, 18, 39 e 41), engan (v. 24), dan (v. 42) e fals (v. 44). Tali locuzioni sono solo tipiche del linguaggio della poesia d’amore trobadorica, ma sono anche proprie di Miraval stesso[7].
 Que fols e que brius: endiadi.
4-6.
Secondo i canzonieri E e C nell’incipit del quinto verso è tramandato quar. In tal caso, si rileva un’anafora. Per dare un senso maggiore al testo, conviene prendere in considerazione l’emendatio inserito da Topsfield, nella sua edizione critica (cfr. apparato della prima cobla), evidenziando come il vincolo di servitù instaurato con la dama venga messo a paragone con quello tra il servo e il suo signore. Il senso del paragone continua nel sesto. Il padrone non ha mai provato un sentimento d’amore. Si lascia intendere come la donna amata dal poeta non corrisponda il suo sentimento. Si può notare come tale figura retorica inizia nell’ultimo verso del fronte e si conclude nel primo verso della sirma, confermando come l’unico octosyllabe sia l’elemento di congiunzione tra le due parti della cobla, posto perfettamente al centro.
7-8.
In questi versi vengono ribaditi alcuni concetti presenti all’inizio dell’esordio: il poeta si fa sempre più lontano e tale lontananza, sempre più marcata, alimenta la follia. La lontananza non è più solamente figurata, ma è anche fisica. il trovatore predilige delle strutture simmetriche. Tale principio è rispettato anche nel componimento analizzato. Lo schema rimario di Trop aun chauzit è il seguente: abba cddcc.  Fronte e sirma si dimostrano essere alquanto simmetrici[8]. Particolare attenzione va posta al quinto verso delle coblas. Come specificato precedentemente, è l’unico verso composta da otto sillabe. Posto perfettamente al centro, esso divide in due parti ogni singola cobla, formate invece da decasyllabe. Il quinto verso è dunque il punto di collegamento, la chiave, che unifica una strofa, la cui disparità renderebbe la canzone dotata di uno schema asimmetrico. Raimon de Miraval, dunque, utilizza quel verso aggiuntivo. Distinguibile per mezzo del metro differente, per dividere la cobla in parti simmetriche tra loro stesse, per il numero di versi adoperati. A loro volta, i gruppi di rime nelle due parti formano una simmetria interna che rispetta lo stile di Miraval. M.L. Switten parla di una divisione tra fronte e sirma nei componimenti, ponendo però attenzione sulle canzoni composte da otto versi per cobla. In quel caso il fattore di divisione delle due parti risiede nella sintassi e non solo nello schema rimario[9]. Anche l’utilizzo del metro aiuta a individuare velocemente la divisione interna: nella già citata Be m’agrada, ad esempio, lo schema metrico raggruppa i versi da otto sillabe nel fronte e i versi da dieci sillabe nella sirma (a08, b08, c08, d08, e10, f10, g10, h10)[10]. Nel nostro caso, la metrica è altrettanto visibile, ma differente.
9.
L’esordio si conclude con il termine amor, parola che ritorna nella stessa canzone.
10-11.
In questa cobla si intensificano i sentimenti negativi. L’inversione a inizio del decimo rigo, mette in risalto il termine mala, variante di mal, che spesso viene adoperato in contesti differenti. Spesso viene associato e contrapposto al bene; altre volte, il male è legato a un comportamento sbagliato che viola l’etica cortese. In questo caso è associato alla donna amata che, ricordando la cobla precedente, è lontana. Il male associato alla dama rende esplicito il senso del testo perché viene fatta una colpa alla donna che è distante[11].
12-13.
Riferimento al signore e al castello di Montesquiu.
19-22.
Dopo la rappresentazione, tramite connotazioni negative, della dama, la terza cobla in antitesi descrive i valori positivi della donna. Il poeta parla inizialmente della sua bellezza. Successivamente si focalizza sulle virtù: meils d’amor gentius. Ritorna il termine amore.
23-27.
Strettamente legato al concetto d’amore è il sostantivo valor: il valore, come afferma Switten “è applicato più alla dama che all’amante […] rafforza la necessità di distinguere moralmente”. Valor si lega indissolubilmente al termine amor non solo dal punto di vista semantico, ma anche fonetico. La desinenza –or, d’altronde si presenta in tutto il componimento in finale di verso. In particolar modo, in questa cobla, si rafforza l’assonanza anche all’interno del verso (vedi gensor al verso 22 e cors che introduce il verso 23), mettendo in risalto il significato che il poeta vuole esprimere[12].
23-26.
La bellezza che Raimon de Miraval vuole esprimere non è solamente quella legata ai valori, ma è anche quella fisica. Anche la descrizione visiva si rafforza in fine del verso 26 con l’utilizzo del termine blancor.
27.
L’apoteosi del senso di bellezza viene raggiunto nel finale della cobla, con la divinizzazione del sentimento.
33.
Gais è un altro lemma fondamentale. Insieme al termine joi, più che invocare un ideale etico, vuole riflettere una condizione sia fisica e sia mentale legata all’ambito della cortesia. Infatti, il sentimento di felicità è presente nella stessa cobla in cui l’amore viene definito fin (in riferimento a quell’amore che viene definito cortese. Allo stesso tempo, nel verso 33, è presente benanan: tale parola è attestata spesso in Miraval per esprimere un sentimento di felicità o piacere[13].
34-36.
In chiusura della quarta cobla, si assiste al paragone tra il sentimento d’amore dell’io poetico e il sentimento d’amore di Tristano. L’io poetico paragona l’amore provato per la sua donna, a quello che l’eroe del romanzo provava per la sua amata, Isotta. La tradizione tristaniana è vasta e complessa. Le due versioni più conosciute in francese antico sono il Tristan di Béroul, inserito nel gruppo della “versione comune” e il Tristan di Thomas inserito nel gruppo della “versione cortese”. Nel confronto tra romanzi e letteratura trobadorica, la versione di Thomas è quella che si presta maggiormente e facilmente. Non a caso tale versione è detta anche “lirica”[14]. Thomas favorisce infatti i tratti cortesi invece degli elementi epici che caratterizzano il romanzo di Béroul. In questo senso, possiamo notare come la fin‘amor sia l’elemento di unificazione che spiegherebbe l’avvicinamento di una particolare tradizione di romanzi con la lirica non solo trobadorica ma anche trovierica. Chrétien de Troyes, infatti, in una sua canzone, D‘Amors qui m‘a tolu a moi, nomina il personaggio Tristano, anche se in questo caso si ipotizza possa essere un senhal riferito a Raimbaut d’Aurenga, affibbiato originariamente dal trovatore Bernart de Ventadorn[15]. Nel caso di Raimon de Miraval non si tratta di un senhal, ma di un riferimento a quella tradizione romanzesca e mitica, che non è utilizzato solamente da quei trovatori cronologicamente posti nei “tempi d’oro” della poesia occitanica, ma anche da coloro che sono appartenenti alle prime generazioni. Cercamon, ad esempio, con Ab lo pascor/ m’es bel qu’eu chan (BdT 112,1a), si dimostra essere uno dei primi poeti che conoscono le vicende dei romanzi[16]. Dunque, la diffusione alla menzione dell’amore di Tristano e Isotta è molto vasta. Miraval stesso non si limita a paragonarsi all’eroe in Trop aun chauzit, ma anche in Be m’agrada (sesta cobla). La similitudine è posta in un’accezione analoga, ma con alcune lievi differenze. Nel primo caso, i sentimenti dell’io poetico sono più intensi di quelli di Tristano. Egli e più felice. Questa felicità è legata principalmente al fatto che la donna di cui il poeta è innamorato sia migliore della donna amata da Tristano. Nel secondo caso il poeta fa riferimento a un patto d’amore, a una promessa di servitù e di obbedienza alla donna amata, così come aveva fatto Tristano[17].
40-42.
Il termine ben entra in contrapposizione con dan. Spesso fa riferimento al bene che il poeta può dare o ricevere. Associato ad altre qualità, può offrire vantaggi e ricompense[18].
44.
Fals lauzenjador: i maldicenti, sono delle figure, molto usate nella lirica trobadorica, messi spesso in contrapposizione alla figura dell’eroe-amante.
 
[1] C. Di Girolamo, I trovatori, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, p. 198.
[2] M.L. Meneghetti, Il pubblico dei trovatori. Ricezione e riuso dei testi lirici cortesi fino al XIV secolo, Einaudi, Torino, 1984, p. 180.
[3] M.L. Switten, The cansos of Raimon de Miraval: A study of poems and melodies, The Medieval Academy of America, Cambridge, Massachussets, 1985, p. 2.
[4] Idem, p. 44.
[5] M.L. Switten, op. cit., p. 76.
[6] Idem, p. 74.
[7] Idem, pp. 69-75.
[8] Idem, pp. 45-46.
[9] Idem, p. 55.
[10] L. Topsfield, Les poesies du trobadour Raimon de Miraval, Nizet, Parigi, 1971, pp. 129-134.
[11] M.L. Switten, op. cit.,  p. 75.
[12] Idem, p. 73.
[13] Idem, p. 71-78.
[14] Thomas, Tristano e Isotta, F. Gambino (a cura di), Mucchi Editore, Modena, 2014, pp. 6-7.
[15] cfr. C. Di Girolamo, op.cit., p. 134. M. Delbouille, Les senhals littéraires désignantRaimbaut d’Orange et la chronologie de ce témonhages, in «Cultura Neolatina», 17 (1957). L. Rossi, Chrétien de Troyes e i trovatori: Tristan, Linaure, Carestia, in «Vox Romanica», 46 (1987). Idem, Carestia, Tristan, les troubadours et le modéle de saint Paul: encore su D’Amors qui m’a tolu a moi (RS 1664), in Covergences médiévales. Epopée, lyrique roman, N. Henrand, P. Moreno, M. Thiry-Stassin (a cura di), De Boek, 2001.
[16] Cercamon, Oeuvre poétique, L. Rossi (a cura di), Honoré, champion, Paris, 2009, pp. 79-92. Cfr. Anche nota 38 di Idem, Il trovatore Cercamon,  V. Tortoreto (a cura di), S.T.E.M, Modena, 1981, p. 149. Tortoreto, in questo caso, non ritiene che il componimento faccia riferimento alla tradizione tristaniana. Infatti traduce et ai·n encor lo cor tristan in “e ne ho ancora il cuore rattristato”, evidenziando il termine tristan come un semplice aggettivo.
[17] L.T. Topsfield, op. cit., p. 126.
[18] M.L. Switten, op. cit., p. 73.
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Testo critico

Discussione testuale: la canzone è stata tramandata dal ms. E e dal ms. C, che riporta solo le prime tre coblas. Per tale ragione la scelta del ms. di base ricade necessariamente su E.  
 
I.         
Trop aun chauzit mei hueill en luec onriu  
per que no·m planh si·s ploron en fadia,  
e·l cor e·l sen faun que fols e que brius 
quar atendon tan rica senhoria  
com cel qui ser a ric senhor                
don no consec neus amoros semblan;  
per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan,  
bona dona, e si dic gran folor, 
qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor.  
 
2: no·m] no C; 5: com] emendatio di L.T. Topsfield, 1971, quar C E. 
 
1: mei] mey C, hueill] huelh C; onriu] honriu C; 2: planh] planc C, ploron] ploro C; 3: faun] fan C; 5: cel] selh C, ser] serf C; 6: consec] cossec C; 8: dona] dompna C, folor] folhor C. 
 
II.        
Mala fui anc cel jorn tant esforsius                
c’a vos retrai l’amor qu’encar m’abruia,  
aqui meteis establis Montesquiu,  
un fort castel qu’es caps de cortezia,  
et anc no fo guerra pejor 
que nueit e jorn me faitz estar veillan,.               
Consi·us pogues sivals plazer d’aitan    
com m’era vis que fezes ans de cel jorn  
que mala·us dic celadamen mon cor. 
 
10: esforsius] esfossius C; 11: c’a] quan C; 17: m’era] era C. 
 
10: fui] fuy C, cel] selh C, tant] tan C. 11: retrai] retrays C, qu’encar] qu’enquer C, m’abruia] m’abria C; 12: meteis] meteus C, establis] establiz C, Montesquiu] Montesquius C; 13: un] ·I· C, castel] castelh C. 15: nueit] nueyt C, veillan] vellan C; 16: consi·us] quossi·us C, sivals] sevals C; 17: com] cum C, fezes] fes C, cel] sel C, jorn] jor C. 
 
III.     
No·m meravill si·m faitz estar pensiu  
la vostra grans beutatz, ma bel’amia,       
qu’entre·ls meillors e·s meils d’amor gentius 
vos eleion tug per la gensor que sia·l 
cors ben fait ab gran valor,  
hueils e boca plazens ses tot enguan,  
blancas mas cabeill saur benestan,                 
de sos bels pes no·m tanh dir la blancor  
quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tant d’amor. 
 
22: eleion] legen C, sia·l] sia C; 25: mas] fina C, saur] sa saurs C; 26: pes no·m] no·ms C. 
 
19: meravill] meravilh C, pensiu] pessius C; 20: bel’amia] bell’amia C; 21: meillors] melhors C, e·s] e·ls C, gentius] entius C; 22: tug] totz C; 24: hueils] huels C, enguan] engan C; 26: bels] belhs C, dir] dire C; 27: tant] tan C. 

 

IV.
D’estre d’amor, dona, mort mais que viu 
vos clam merce: no voillatz que m’ausia 
la fin’amor que m’art plus d’un caliu             
per vos qu’ieu am e dezir nueit e dia.  
Aib sol un bais de secor  
seri’eu gais e d’amor benanan  
plus que no fo per s’amia Tristan 
ni nuill autre plus fin amador,                      
quar part totas es ma dona meillor. 

 

V.     
A! Car no fui del vostre parentiu  
per tal que·us vis e·us baizes tota via!  
C’aisi for ieu d’est maltrait en fieu 
de ben amar qu’estiers sai qu’es folia;                
c’ades me dobla·l mal en plor  
car no·m aus vezer vos qui·m datz ben e dan.  
Ni·us aus servir com deu far fin aman 
tal temor ai que·ill, fals lauzenjador, 
pero si·us platz vos siatz contra lor.               
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Topsfield

I.
Trop aun chauzit mei hueill en luec onriu
Per que no-m planh si-s ploron en fadia,
E-l cor e-l sen faun que fols e que brius
Quar atendon tan rica senhoria
Com cel qui ser a ric senhor
Don no consec neus amoros semblan;
Per qu'ieu, si puesc, m'irai de vos lonhan,
Bona dona, e si dic gran folor,
Qu'esser no pot, tan m'es corals l'amor.

II.
Mala fui anc cel jorn tant esforsius
C'a vos retrai l'amor qu'encar m'abria,
Aqui meteis establis Montesquiu,
Un fort castel qu'es caps de cortezia,
Et anc no fo guerra pejor
Que nueit e jorn me faitz estar veillan
Consi-us pogues sivals plazer d'aitan
Com m'era vis que fes ans de cel jor
Que mala-us dis celadamen mon cor.

III.
No-m meravill si-m fai estar pensiu
La vostra grans beutatz, ma bel'amia,
Qu'entre-ls meillors e-ls meils d'amor gentius
Vos legon tug per la gensor que sia,
Lo cors ben fait ab gran valor,
Hueils e boca plazens ses tot enguan,
Blancas mas e cabeill saur benestan,
De sos bels pes no-m tanh dir la blancor
Quar anc no-ls vi ni-m fes Dieus tant d'amor.

IV.
D'estre d'amor, dona, morta mais que vius
Vos clam merce: no voillatz quem'ausia 
La fin'amor que m'art plus d'un caliu
Per vos qu'ieu am e dezir nueit e dia.
Car ab sol un bais de secor
Seri'eu gais e d'amor benanan
Plus que no fo per s'amia Tristan
Ni anc nuill autre plus fin amador,
Quar part totas es ma dona meillor.

V. 
A! car no fui del vostre parentiu
Per tal que-us vis e-us baizes tota via!
C'aisi fora ieu d'est maltrait en fieu
De ben amar qu'estiers sai qu'es folia;
C'ades me dobla-l mals en plor
Car no-us aus vezer qui-m datz ben e dan
Ni-us aus servir com deu far fin aman
Tal temor ai que-ill fals lauzenjador...
Per si-us platz vos siatz contre lor.

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Collazione

 
 
 
  Ordine delle 
coblas: 
  C: I, II, III. 
  E: I, II, III, IV, V. 
 
 
  I, 1 
  v. 1 
 
  C
  
E 
  Trop an chauzit mey huelh en luec honriu 
  Trop aun chauzit mei hueill en luec onriu 
 
  I, 2 
  v. 2 
 
  C 
  E 
  per que no planc si·s ploro en fadia,  
  per que no·m planh si·s ploron en fadia, 
 
  I, 3 
  v. 3 
 
  C 
  E 
  e·l cor e·l sen fan que folhs e que brius 
  e·l cor e·l sen faun que fols e que brius 
 
  I, 4 
  v. 4 
 
  C 
  E 
  quar atendon tan rica senhoria  
  quar atendon tan rica senhoria  
 
  I, 5 
  v. 5 
 
  C 
  E 
  quar selh qui serf a ric senhor  
  quar cel qui ser a ric senhor 
 
  I, 6 
  v. 6 
 
  C 
  E 
  don no cossec neus amoros semblan; 
  don no consec neus amoros semblan;  
 
  I, 7 
  v. 7
 
  C 
  E 
  per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan, 
  per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan, 
 
  I, 8 
  v. 8
 
  C 
  E 
  bona dompna, e si dic gran folhor,  
  bona dona, e si dic gran folor, 
 
  I, 9 
  v. 9
 
  C 
  E 
  qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor.  
  qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor. 
 
  II, 1
  v. 10 
 
  C 
  E 
  Mala fuy anc selh jorn tan esfossius 
  Mala fui anc cel jorn tant esforsius 
 
  II, 2 
  v. 11 
 
  C 
  E 
  quan vos retrays l’amor qu’enquer m’abria,  
  c’a vos retrai l’amor qu’encar m’abruia, 
 
  II, 3 
  v. 12 
 
  C 
  E 
  aqui meteus establitz Montesquius, 
  aqui meteis establis Montesquiu,   
 
  II, 4 
  v. 13 
 
  C 
  E 
  ·I· fort castelh qu’es caps de cortezia,  
  un fort castel qu’es caps de cortezia, 
 
  II, 5 
  v. 14 
 
  C 
  E 
  et anc no fo guerra pejor 
  et anc no fo guerra pejor 
 
  II, 6 
  v. 15
 
  C 
  E 
  que nueyt e jorn me faitz estar vellan  
  que nueit e jorn me faitz estar veillan 
 
  II, 7 
  v. 16 
 
  C 
  E 
  quossi·us pogues sevals plazer d’aitan  
  consi·us pogues sivals plazer d’aitan    
 
  II, 8 
  v. 17 
 
  C 
  E 
  cum era vis que fes ans de sel jor  
  com m’era vis que fezes ans de cel jorn  
 
  II, 9 
  v. 18 
 
  C 
  E 
  que mala·us dis celadamen mon cor.  
  que mala·us dic celadamen mon cor. 
 
  III, 1 
  v. 19 
 
  C 
  E 
  No·m meravilh si·m faitz estar pessius  
  No·m meravill si·m faitz estar pensiu  
 
  III, 2 
  v. 20 
 
  C 
  E 
  la vostra grans beutatz, ma bell’amia,  
  la vostra grans beutatz, ma bel’amia, 
 
  III, 3 
  v. 21 
 
  C 
  E 
  qu’entre·ls melhors e·ls miels d’amor entius 
  qu’entre·ls meillors e·s meils d’amor gentius 
 
  III, 4 
  v. 22 
 
  C 
  E 
  vos legen totz per la gensor que sia  
  vos eleion tug per la gensor que sia·l,  
 
  III, 5 
  v. 23 
 
  C 
  E 
  lo cors ben fait ab gran valor  
  cors ben fait ab gran valor,  
 
  III, 6 
  v. 24 
 
  C 
  E 
  huels e boca plazens ses tot engan,  
  hueils e boca plazens ses tot enguan,  
 
  III, 7 
  v. 25 
 
  C 
  E 
  blancas fina cabelhs sa saurs benestan,  
  blancas mas cabeill saur benestan,  
 
  III, 8 
  v. 26 
 
  C 
  E 
  de sos belhs no·ms tanh dire la blancor  
  de sos bels pes no·m tanh dir la blancor 
 
  III, 9 
  v. 27 
 
  C 
  E 
  quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tan d’amor. 
  quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tant d’amor. 
 
  IV, 1 
  v. 28 
 
  C 
  E 
 
  D’estre d’amor, dona, mort mais que viu 
 
  IV, 2 
  v. 29 
 
  C 
  E 
 
  vos clam merce: no voillatz que m’ausia 
 
  IV, 3 
  v. 30 
 
  C 
  E 
 
  la fin’amor que m’art plus d’un caliu 
 
  IV, 4 
  v. 31 
 
  C 
  E 
 
  per vos qu’ieu am e dezir nueit e dia.  
 
  IV, 5 
  v. 32 
 
  C 
  E 
 
  Aib sol un bais de secor  
 
  IV, 6 
  v. 33 
 
  C 
  E 
 
  seri’eu gais e d’amor benanan  
 
  IV, 7 
  v. 34 
 
  C 
  E 
 
  plus que no fo per s’amia Tristan 
 
  IV, 8 
  v. 35 
 
  C 
  E 
 
  ni nuill autre plus fin amador, 
 
  IV, 9 
  v. 36 
 
  C 
  E 
 
  quar part totas es ma dona meillor. 
 
  V, 1 
  v. 37 
 
  C 
  E 
 
  A! Car no fui del vostre parentiu  
 
  V, 2 
  v. 38 
 
  C 
  E 
 
  per tal que·us vis e·us baizes tota via!  
 
  V, 3 
  v. 39  
 
  C 
  E 
 
  C’aisi for ieu d’est maltrait en fieu 
 
  V, 4 
  v. 40 
 
  C 
  E 
 
  de ben amar qu’estiers sai qu’es folia;  
 
  V, 5 
  v. 41 
 
  C 
  E 
 
  c’ades me dobla·l mal en plor  
 
  V, 6 
  v. 42 
 
  C 
  E 
 
  car no·m aus vezer vos qui·m datz ben e dan.  
 
  V, 7 
  v. 43 
 
  C 
  E 
 
  Ni·us aus servir com deu far fin aman 
 
  V, 8 
  v. 44 
 
  C 
  E 
 
  tal temor ai que·ill fals lauzenjador…  
 
  V, 9 
  v. 45 
 
  C 
  E 
 
  pero si·us platz vos siatz contra lor. 
 
 
 

 

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Tradizione manoscritta

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CANZONIERE C

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Riproduzione fotografica

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Edizione diplomatica

 
Trop 
an chauzit mey huelh 
en luec honriu. per q(ue) 
no planc sis ploro en 
  fadia. el cor el sen fan q(ue) folhs 
  e que brius. quar atendon tan 
  rica senhoria. quar selh q(ui) serf 
 
  a ric senhor. don no cossec neus 
  amoros semblan. per quieu si 
  puesc mirai de uos lonhan. bo 
  na dompna e si dic gran folhor.  
  quesser
 no pot tan mes corals la 

  Mala fuy anc selh iorn   mor 
  tan esfossius. quan uos retrays 
  lamor quen quer ma bria, aq(ui) 
  meteus establitz mont esquius. 
  ·I· fort castelh ques caps de cor 
  tezia. (et) anc no fo guerra peior. 
  que nueyt e iorn me faitz estar 
  uellan. quossius pogues seuals 
  plazer daitan. cum erauis que  
  fes ans de sel ior. que malaus 
  dis celadamen mon cor. 

  Nom merauilh sim faitz estar 
  pessius. la vostra grans beutatz 
  ma bella mia. quen trels melh 
  ors els miels damor entius. 
  uos legen totz per la gensor q(ue) 
  sia. lo cors ben fait ab gran ua 
  lor. huels e boca plazens ses tot 
  engan. blancas fina cabelhs sa  
  saurs ben estan. de sos belhs  
  noms tanh dire la blancor. q(ua)r 
  anc nols ui nim fes dieus tan 
  damor. 
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Edizione diplomatico-interpretativa

  I  I
 
 Trop 
  an chauzit mey huelh 
  en luec honriu. per q(ue) 
  no planc sis ploro en 
  fadia. el cor el sen fan q(ue) folhs 
  e que brius. quar atendon tan  
  rica
 senhoria. quar selh q(ui) serf      
  a ric senhor. don no cossec neus  
  amoros semblan. per quieu si  
  puesc mirai de uos lonhan. bo 
  na dompna e si dic gran folhor.  
 quesser no pot tan mes corals la 

 

  Trop an chauzit mey huelh en luec honriu 
  per que no planc si·s ploro en fadia,  
  e·l cor e·l sen fan que folhs e que brius  
  quar atendon tan rica senhoria  
  quar selh qui serf a ric senhor  
  don no cossec neus amoros semblan;  
  per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan,  
  bona dompna, e si dic gran folhor, 
  qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor.
  II   II
 
  
  M
ala 
fuy anc selh iorn   mor 
  tan esfossius. quan uos retrays 
  lamor quen quer ma bria, aq(ui) 
  meteus establitz mont esquius. 
  ·I· fort castelh ques caps de cor 
  tezia. (et) anc no fo guerra peior. 
  que nueyt e iorn me faitz estar 
  uellan. quossius pogues seuals 
  plazer daitan. cum erauis que  
  fes ans de sel ior. que malaus 
  dis celadamen mon cor. 

 

  Mala fuy anc selh jorn tan esfossius  
  quan vos retrays l’amor qu’enquer m’abria,  
  aqui meteus establitz Montesquius, 
  ·I· fort castelh qu’es caps de cortezia,  
  et anc no fo guerra pejor 
  que nueyt e jorn me faitz estar vellan  
  quossi·us pogues sevals plazer d’aitan  
  cum era vis que fes ans de sel jor  
  que mala·us dis celadamen mon cor. 
  III   III
  
  
  Nom merauilh sim faitz estar 
  pessius. la vostra grans beutatz 
  ma bella mia. quen trels melh 
  ors els miels damor entius. 
  uos legen totz per la gensor q(ue) 
  sia. lo cors ben fait ab gran ua 
  lor. huels e boca plazens ses tot 
  engan. blancas fina cabelhs sa  
  saurs ben estan. de sos belhs  
  noms tanh dire la blancor. q(ua)r 
  anc nols ui nim fes dieus tan 
  damor.

 

  No·m meravilh si·m faitz estar pessius  
  la vostra grans beutatz, ma bell’amia,  
  qu’entre·ls melhors e·ls miels d’amor entius 
  vos legen totz per la gensor que sia, 
  lo cors ben fait ab gran valor,  
  huels e boca plazens ses tot engan,  
  blancas fina cabelhs sa saurs benestan,  
  de sos belhs no·ms tanh dire la blancor  
  quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tan d’amor.
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CANZONIERE E

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Riproduzione fotografica

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Edizione diplomatica

Raimon demiraual 

  Trop aun chauzit mei hueill enluec on 
  riu. perque nom planh sis ploron en 
  fadia. elcor elsen faun que fols eque brius. 
  quar atendon tan rica senhoria. quar cel 
  qui ser aric senhor. don no conser neus a 
  moros semblan. perquieu si puesc mirai de 
  uos lonhan. bona dona esi dic gran folor. 
 quesser nopot tan mes corals lamor. 

  Mala fui anc cel iorn tant esforsius. cauos 
  retrai lamor quencar mabruia. aqui meteis 
  establis mont esquiu. un fort castel ques 
  caps decortezia. (et) anc no fo guerra peior. 
  que nueit eiorn me faitz estar ueillan. 
  consius pogues siuals plazer daitan. com 
  merauis que fezes ans decel iorn. q(ue) ma 
  laus dic celadamen moncor. 

  Nom merauill sim faitz estar pensiu. la 
  uostra grans beutatz ma belamia. quen  
  trels meillors es meils damor. gentius 
  uos eleion tug per lagensor. que sialcors 
  ben fait abgran ualor. hueils eboca pla 
  zens sestor enguan. blancas mas cabe 
  ill saur benestan. de sos bels pes nom 
  tanh dir lablancor. quar anc nols ui 
  nim fes dieus tant damor.

  Destre damor dona mort mais que uiu. 
  uos clam merce no uoillatz que mausia 
  lafinamor que mart plus dun caliu. 
  per uos quieu am edezir nueit edia. aibsol  
  un bais de secor. serieu grais edamor be 
  nanan. plus que nofo per samia tris 
  tan. ni nuill autre plus fin amador. 
 
 
  quar
 part totas es madona meillor.  
  A car no fui del uostre parentiu, per tal 
  queus uis eus baizes totauia. carsi forieu 
  dest maltrait enfieu. deben amar questi 
  ers sai ques folia. cades me doblal mal en 
  plor. car no(m) aus uezer uos quim datz ben 
  edan. nius aus seruir com deu far finama(n) 
  tal temor ai queill fals lauzeniador. pero si 
  us platz uos siatz contra lor. 
 
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Edizione diplomatico-interpretativa

  Raimon demiraual    Raimon de Miraval 
  I   I
  
  Trop aun chauzit mei hueill enluec on 
  riu. perque nom planh sis ploron en 
  fadia. elcor elsen faun que fols eque brius. 
  quar atendon tan rica senhoria. quar cel 
  qui ser aric senhor. don no conser neus a 
  moros semblan. perquieu si puesc mirai de 
  uos lonhan. bona dona esi dic gran folor. 
 quesser nopot tan mes corals lamor. 
 
 
  Trop aun chauzit mei hueill en luec onriu  
  per que no·m planh si·s ploron en fadia,  
  e·l cor e·l sen faun que fols e que brius 
  quar atendon tan rica senhoria  
  quar cel qui ser a ric senhor 
  don no consec neus amoros semblan;  
  per qu’ieu, si puesc, m’irai de vos lonhan,  
  bona dona, e si dic gran folor, 
  qu’esser no pot, tan m’es corals l’amor. 
 
  II   II
  
  Mala fui anc cel iorn tant esforsius. cauos 
  retrai lamor quencar mabruia. aqui meteis 
  establis mont esquiu. un fort castel ques 
  caps decortezia. (et) anc no fo guerra peior. 
  que nueit eiorn me faitz estar ueillan. 
  consius pogues siuals plazer daitan. com 
  merauis que fezes ans decel iorn. q(ue) ma 
​  laus dic celadamen moncor. 
 
 
  Mala fui 
anc cel jorn tant esforsius  
  c’a vos retrai l’amor qu’encar m’abruia,  
  aqui meteis establis Montesquiu,  
  un fort castel qu’es caps de cortezia,  
  et anc no fo guerra pejor 
  que nueit e jorn me faitz estar veillan 
  consi·us pogues sivals plazer d’aitan    
  com m’era vis que fezes ans de cel jorn  
  que mala·us dic celadamen mon cor. 
 
  III   III
  Nom merauill sim faitz estar pensiu. la 
  uostra grans beutatz ma belamia. quen  
  trels meillors es meils damor. gentius 
  uos eleion tug per lagensor. que sialcors 
  ben fait abgran ualor. hueils eboca pla 
  zens sestor enguan. blancas mas cabe 
  ill saur benestan. de sos bels pes nom 
  tanh dir lablancor. quar anc nols ui 
​  nim fes dieus tant damor.
 
 
  No
·m meravill si·m faitz estar pensiu  
  la vostra grans beutatz, ma bel’amia,  
  qu’entre·ls meillors e·s meils d’amor gentius 
  vos eleion tug per la gensor que sia·l 
  cors ben fait ab gran valor,  
  hueils e boca plazens ses tot enguan,  
  blancas mas cabeill saur benestan,  
  de sos bels pes no·m tanh dir la blancor  
  quar anc no·ls vi ni·m fes Dieus tant d’amor.
 
  IV   IV
 
  D
estre 
damor dona mort mais que uiu. 
  uos clam merce no uoillatz que mausia 
  lafinamor que mart plus dun caliu. 
  per uos quieu am edezir nueit edia. aibsol  
  un bais de secor. serieu grais edamor be 
  nanan. plus que nofo per samia tris 
  tan. ni nuill autre plus fin amador.
  quar
 part totas es madona meillor.
 
 
  D
’estre d’amor, dona, mort mais que viu 
  vos clam merce: no voillatz que m’ausia 
  la fin’amor que m’art plus d’un caliu 
  per vos qu’ieu am e dezir nueit e dia.  
  Aib sol un bais de secor  
  seri’eu gais e d’amor benanan  
  plus que no fo per s’amia Tristan 
  ni nuill autre plus fin amador, 
  quar part totas es ma dona meillor.
 
  V   V
  A car no fui del uostre parentiu, per tal 
  queus uis eus baizes totauia. carsi forieu 
  dest maltrait enfieu. deben amar questi 
  ers sai ques folia. cades me doblal mal en 
  plor. car no(m) aus uezer uos quim datz ben 
  edan. nius aus seruir com deu far finama(n) 
  tal temor ai queill fals lauzeniador. pero si 
  us platz uos siatz contra lor. 
 
  A! Car no fui del vostre parentiu  
  per tal que·us vis e·us baizes tota via!  
  C’aisi for ieu d’est maltrait en fieu 
  de ben amar qu’estiers sai qu’es folia;  
  c’ades me dobla·l mal en plor  
  car no·m aus vezer vos qui·m datz ben e dan.  
  Ni·us aus servir com deu far fin aman 
  tal temor ai que·ill fals lauzenjador…  
  pero si·us platz vos siatz contra lor. 
 
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