Il componimento è formato da 5 coblas singulars capcaudadas di 8 versi ciascuna e da una tornada di 4 versi. I versi sono tutti decasillabi; il fatto che le coblas siano capcaudadas fa sì che di cobla in cobla ci sia un’alternanza notevole tra rime maschili e femminili.
Schema rimico: ABBACDDC
Timbri rimici: A: -ir; -ora; -ut; -asta; -os
B: -ia; -an; -era; -ell; -ana
C: -ora; -ut; -asta; -os; ença
D: -at; -atge; -ay; -egua; -ans
x: -ença
Y. -ans
Schema sillabico: 10 10 10 10 10’ 10 10 10’-- 10’ 10 10 10’ 10 10’ 10’ 10 – 10 10’ 10’ 10 10’ 10 10 10’ – 10’ 10 10 10’ 10 10’ 10’ 10 – 10 10’ 10’10 10’ 10 10 10’
La quantità estremamente scarsa di componimenti conservati non permette di identificare dei tratti più o meno caratteristici nello stile dell’autore. Sulla base dell’unico testo rimasto è possibile fare delle ipotesi analizzando alcuni elementi che sembrano essere particolarmente rilevanti.
Il componimento è costituito da cinque coblas singulars di otto versi ciascuna e una tornada di quattro; i versi sono tutti decasillabi. Leggendo il testo si può notare che le coblas sono capcaudadas, il che significa che se l’ultimo verso della prima cobla rima in -ora, la stessa rima si ritroverà nel primo verso della seconda, e così per tutte le strofe successive.
Il genere in cui si può collocare il componimento è quello del Comiat: «Composició d’origen provençal estretament relacionada amb el maldit i en la qual el poeta renunciava a l’amor de la seva dama» (https://www.enciclopedia.cat/gran-enciclopedia-catalana/comiat). Come si legge nella definizione esso è legato ad un altro genere, il Maldit, che solitamente ha come argomento le lamentele del poeta per il comportamento della dama, tanto che si parla anche di Maldit-comiat. Il componimento rientra perfettamente in questo genere in quanto in esso il poeta esprime la volontà di allontanarsi dalla donna precedentemente amata e che ora disprezza. Utilizza espressioni tipiche della poesia trobadorica come Fals’Amor, che sembra qui riferirsi proprio alla donna poiché introdotta da Na, di solito usato prima di un nome proprio di persona o anche come vocativo, davanti a nomi propri di persona o comuni di cosa personificata. Da subito l’autore mette in evidenza la sua volontà di allontanarsi da lei e la descrive ponendo l’attenzione sulla falsità del suo cuore che è pieno di inganno.
È curioso notare come è costituito il v. 5: il poeta utilizza una costruzione trimembre le cui componenti sono legate da un polisindeto e così facendo mette in evidenza quanto grande fu l’errore di consegnare il suo cuore alla donna. La struttura di questo verso sembra ricordare un sonetto di Petrarca, il 61 dei Rerum vulgarium fragmenta, i cui primi versi recitano:
Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
da’ duo begli occhi che legato m’hanno;
La somiglianza tra i due è evidente, sia nel primo sia soprattutto nel secondo verso, anche se ovviamente nel caso di Pere de Queralt il senso del verso è capovolto dal verbo: se Petrarca benedice, Pere maledice.
In realtà, come scritto nell'edizione del Canzoniere a cura di S. Stoppa (Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di S. Stoppa, Einaudi, Torino 2016, p. 121), l’espressione ha una matrice biblica in Apc 9,15, poi ripresa da Agostino nel De civitate Dei e, come suggerisce la curatrice, è usata anche da Boccaccio nel Filostrato in cui, rispetto all’ordine delle parole scelto da Petrarca, gli elementi sono invertiti:
E benedico il tempo, l’anno, e ’l mese,
E ’l giorno, l’ora, e ’l punto, che così
Onesta, bella, leggiadra e cortese,
Primieramente apparve agli occhi miei;
La tripartizione del secondo verso sembra riprendere quella utilizzata da un altro autore citato da Stoppa nel commento al sonetto di Petrarca, Cecco Angiolieri, che utilizza una formula praticamente identica a quella scritta da Pere de Queralt: «Maledetta sie l’or e ‘l punt e ‘l giorno»; il riscontro con questo verso risulta anche maggiore rispetto a quello evidenziato nel sonetto di Petrarca dal momento che qui è già presente il maldir.
Nel resto del componimento l’autore spiega che una volta interrotti i rapporti non tornerà indietro sui suoi passi e che se potesse cancellare tutto e restituirle tutto ciò che dalla donna ha avuto lo farebbe; procede poi a affermare che per lei non canterà più canzoni, lai o danze.
Le ultime due stanze del componimento sono dedicate all’offesa più esplicita: la addita come donna che ha tre amanti in un solo giorno e dunque considera folle chi è al suo servizio e ha di lei un’opinione positiva; le augura, in ultimo, di non trovare più servitori che possano recarle benevolenza. Ricorda in questi ultimi versi l’abbassamento di tono che si riscontra nelle strofe IV, V e VI di Can vei l’auzeleta mover di Bernart de Ventadorn in cui l’autore offende pesantemente la donna.
Il lessico utilizzato è ricco di riferimenti al mondo feudale, come di consueto: l’autore parla di servitori, di uomini che si inginocchiano, di lui stesso che rompe il legame e, dunque, il patto.
A cura di Laura Rosari